Correva l’anno
1873 quando Incisa Valdarno divenne teatro degli omicidi di quattro
bambini. Inizialmente si pensò che questi bambini fossero annegati
nell’Arno o che fossero stati rapiti da uno zingaro: i cittadini di Incisa non volevano accettare l'idea che il male fosse fra loro. Non si sapeva
ancora che a togliere la vita ai piccoli era stato Callisto Grandi: uomo di
aspetto deforme, basso e calvo, con la testa sproporzionata al corpo
e con sei dita in un piede. Orfano e non sposato, era oggetto di
scherno da parte di tutto il paese sia per il suo aspetto sia per la
sua scarsa intelligenza.
Callisto era un
carradore, ovvero riparava e costruiva carri, e proprio nella bottega
i bambini andavano per deriderlo. Ma Callisto era stanco di essere
beffato e così decise di farsi giustizia: aspettò che i bambini
entrassero nella bottega per poi colpirli con una ruota dei carri in
costruzione e seppellirli nel retro del magazzino. Fu scoperto mentre
tentava di uccidere la sua quinta vittima.
Il Grandi confessò
di essere stato lui ad uccidere gli altri bambini e, poiché era
povero, gli vennero assegnati due difensori d’ufficio (Galardi e
Papasogli) che decisero di rivolgersi a tre periti per dimostrare
l’insanità mentale del loro assistito: Morselli, Livi e Bini. L’approccio di Morselli si basava sulle teorie lombrosiane che si
stavano divulgano in quel periodo. Lombroso sosteneva che l'origine
del comportamento criminale è insita nelle caratteristiche
anatomiche del criminale, che è una persona fisicamente differente
dall'uomo normale in quanto dotata di anomalie ed atavismi, che ne
determinano il comportamento pericoloso. Callisto per le sue
deformità rispecchiava la figura del delinquente atavico.
Livi e Bini invece
distinguevano la malattia mentale dalla pericolosità, offrendo una
panoramica ambientalista, secondo la quale sarebbero state le circostanze
di stress e pressione psicologica ad indurre il loro assistito, malato mentale, a compiere i misfatti. Il loro obiettivo era
quello di far passare Callisto come un pazzo non pericoloso ed evitare la sua incarcerazione.
Gli accusatori Morelli e Lazzaretti, invece, dichiararono che Il Grandi
fosse sano di mente, intelligente in quanto alfabetizzato e astuto
nel programmare minuziosamente gli omicidi, tutti intenzionali.
Nonostante
Callisto nei verbali dichiarasse di essere “sposato con la
Madonna”, i giudici non lo ritennero pazzo, dando ragione all’accusa: Il Grandi fu condannato a venti anni
di lavori forzati all’interno del carcere. Il 10 Ottobre
1895, Callisto viene rilasciato dal reclusorio dell’Isola di
Capraia e venne portato al Manicomio di San Salvi, perché individuo
socialmente pericoloso, per poi essere ricoverato per imbecillità. In
manicomio si comportò bene: paziente operoso, docile e
innocuo, dimostrò (proprio come aveva
ipotizzato Livi in sede di giudizio) che in assenza di stimoli negativi dall'esterno "l'ammazzabambini" non avrebbe fatto male a una mosca.
Questa pena, così
contraddittoria, sembrò inadeguata allo stesso Grandi che si
lamentò: ” Se ero pazzo non dovevo essere messo in carcere ma in
un manicomio; se non lo ero, come risultavo dal processo, sarei
dovuto essere rilasciato dopo aver espiato la pena."
Callisto Grandi è
oggi ricordato con il soprannome di "L'Ammazzabambini", che
è anche il titolo di un libro, pubblicato nel 2006 da Patrizia
Guarnieri, che racconta la sua storia processuale.
Valeria
la Firenze noir...
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