Non si può raccontare la “Rivolta
Ungherese” esulando dall'antefatto.
Potrei partire dalla rivolta di Poznań
ma mancherebbe comunque un tassello al mosaico.
Quindi facciamo un passo indietro di
qualche mese e partiamo dal Febbraio 1956, dal XX congresso del PCUS
(Partito Comunista dell'Unione Sovietica).
Stalin è morto da 3 anni e già da un
anno Krusciov ha iniziato la destalinizzazione riconciliandosi col
maresciallo Tito.
Durante la celebre seduta a porte
chiuse, tenutasi nella notte tra il 24 e il 25 Febbraio, Krusciov
denuncia i crimini, gli atti illegali e le violenze compiute su
ordine di Stalin, criticandone inoltre il culto della personalità
che lo aveva portato a comportarsi in modo dispotico, scioccando i
delegati del congresso che solo tre anni prima avevano sicuramente
versato lacrime per la morte del “Piccolo Padre”. E' importante
fare questa premessa perchè il congresso non solo diede inizio alla
lotta per il potere in URSS ma aprì anche il dibattito nelle file
del Partito Comunista Ungherese.
Il
28 giugno al grido di “Pane e Libertà” gli operai di Poznań,
Polonia, si ribellarono al regime stalinista ancora attuato dall'
URSS. L'esercito polacco represse questo moto di rivolta in un bagno
di sangue, massacrando senza pietà più di 100 operai. La Rivolta di
Poznań fu la prima scintilla di Libertà. Scintilla che molto presto
raggiunse un altro Paese a regine stalinista, l'Ungheria. Scintilla
che proprio in Ungheria fece divampare la rivolta.
Per
parlare della Rivolta Ungherese è necessario, innanzitutto,
inquadrare bene le condizioni nelle quali versava il popolo
Ungherese. Il fallimento della politica economica le cui conseguenze
furono povertà diffusa e salari non adeguati al costo della vita
unito alla repressione di qualsivoglia sentimento di protesta hanno
generato risentimento e insoddisfazione nei confronti del regime
sovietico.
In
questo clima il 22 Ottobre si tennero assemblee studentesche in
diverse Università Ungheresi dalle quali emerse l'intento di uscire
dalla “Gioventù Comunista” e fondare organi studenteschi
autonomi. Per il giorno successivo venne convocata a Budapest una
manifestazione di solidarietà ai lavoratori di Poznań.
Alla
manifestazione parteciparono migliaia di studenti che ben presto
vennero affiancati da migliaia di Ungheresi. In breve tempo si
trasformò in una vera e propria insurrezione contro la presenza
sovietica in Ungheria e contro Rákosi, una “vecchia guardia
stalinista”, segretario del Partito Comunista Ungherese e capo del
regime comunista della Repubblica Popolare Ungherese.
Appare
subito chiaro che è un'occasione da non perdere. Forse le cose
potrebbero cambiare questa volta.
I
manifestanti sono circa 200.000 e agli studenti e a semplici
cittadini si sono uniti molti soldati.
La
folla a questo punto fa rotta verso il Parlamento, dalle bandiere
Ungheresi viene strappato via il simbolo comunista, la statua di
Stalin che si trova all'ingresso del parco di Budapest, viene
“imbracata” con diverse funi e si prova a tirarla giù. Ma è
davvero enorme, è una statua in bronzo alta 7metri, le funi non
bastano e quindi si ricorre alla fiamma ossidrica con la quale si
fondono le ginocchia e finalmente si schianta al suolo, riducendosi
in tanti pezzi.
Alcuni
studenti si recano alla sede della radio per far sì che vengano
lette le loro rivendicazioni ma la direzione della radio gli tende
una trappola facendo finta di accettare e facendoli trarre in arresto
dall'AVH (la polizia di sicurezza) una volta entrati. Immediatamente
il palazzo viene circondato dai manifestanti e la polizia inizia a
sparare sulla folla che, successivamente, intercetta un'ambulanza
piena di armi nascoste che avrebbe dovuto raggiungere la sede della
radio per rifornire le guardie dell' AVH, e comincia a rispondere al
fuoco.
Per
riportare la calma si opta per l'intervento dell'Armata Rossa,
credendo che lo schieramento dei carri armati avrebbe avuto l'effetto
di sedare la rivolta, così come era successo a Berlino Est 3 anni
prima.
Non andò così e alla comparsa dei primi T34 l'insurrezione
si inasprì diventando ancora più violenta.
Si
decide, a questo punto, di affidare a Nagy il compito di formare il
Governo.
Imre
Nagy era un dirigente comunista che già nel 1953 aveva guidato il
Paese ma, accusato di “troppo liberalismo", venne destituito ed
espulso dal Partito.
Piazza
Kossuth è la piazza davanti al Parlamento.
Il
25 Ottobre i manifestanti stanno parlando coi soldati dell'Armata
Rossa. All'improvviso, però, qualcuno comincia a sparare dalle
finestre, i soldati rispondono senza guardare in faccia a nessuno,
trucidando decine di persone. L'ennesimo atto intollerabile che fa
montare ulteriormente ed estendere la Rivolta in tutta l'Ungheria.
Cinque
giorni dopo l'esercito lascia la città.
Il
clima adesso è più disteso, la speranza è quella di aver vinto e
aver mosso il primo passo verso la Libertà.
Gli
studenti, adesso, fomentati da quella che credono una vittoria, non
sono più disposti ad accettare l'idea di un governo comunista, Nagy
lo intuisce ed accetta di formare e guidare un governo di coalizione.
Sapeva
benissimo che la fine del “sistema a partito unico” non poteva
essere tollerata dall'URSS. Ma lui e i membri del nuovo governo erano
ormai in ballo e decisero di calcare la mano, dichiarando che
l'Ungheria usciva dal patto di Varsavia e proclamandone la neutralità
sperando che l'ONU considerasse un nuovo intervento militare russo
come un'aggressione e intervenisse a sostegno dell'Ungheria.
E'
il 4 Novembre, questo è l'ultimo messaggio radiofonico di Nagy:
«Qui
parla il Primo Ministro Imre Nagy. Oggi all'alba le truppe sovietiche
hanno aggredito la nostra capitale con l'evidente intento di
rovesciare il governo legale e democratico di Ungheria. Le nostre
truppe sono impegnate nel combattimento. Il governo è al suo posto.
Comunico questo fatto al popolo del nostro Paese ed al mondo intero.»
Questo
messaggio radiofonico viene seguito da disperate richieste di aiuto
in tantissime lingue.
L'Armata
Rossa è schierata alle porte di Budapest, pronta ad attaccare.
Alle
4 del mattino 15 divisioni corazzate sovietiche e 6000 uomini
attaccano l'Ungheria.
La
resistenza non durò molto, dopo 4 giorni di scontri asprissimi nelle
strade la rivolta venne completamente domata.
Nagy,
che ormai era diventato pericoloso, come tutti i simboli nazionali,
agli occhi di chi non comprende la necessità di autodeterminazione
dei popoli, viene arrestato e deportato in Romania; dopo 2 anni di
detenzione viene riportato in Ungheria, subisce un processo a porte
chiuse, e viene impiccato il 16 Giugno del 1958.
Viene
seppellito insieme agli altri “martiri del '56” in una tomba
senza nome nel cimitero della capitale Ungherese.
Solo
31 anni dopo ricevettero i funerali di Stato in Piazza degli Eroi.
Questa
la testimonianza di Imre Mecs, uno studente che venne condannato a
morte nel 1957 e che con queste parole ricorda quel Martedì del 23
Ottobre 1956:
'La
manifestazione del 23 ottobre venne decisa dall'assemblea tenuta la
sera e la notte precedente al Politecnico. La mattina il corteo è
stato proibito e la proibizione è stata ribadita per radio ogni ora.
Ma abbiamo convocato ugualmente una nuova assemblea dove venne il
Vice Ministro degli interni a dirci che il veto era stato revocato.
Per evitare provocazioni siamo partiti subito in gruppi di dieci
stretti per mano, nel frattempo arrivavano anche i giovani operai
dalle fabbriche del quartiere con le bandiere nazionali bianco rosso
e verde e le bandiere rosse, eravamo circa diecimila al momento della
partenza. Quando siamo entrati nella piazza c'era già una folla
enorme e anche la nostra organizzazione ha cominciato ad allentarsi.
Anche il vicino Ponte Margherita si era riempito di gente. In piazza
Ben il poeta Péter Veres ha tenuto un discorso, sono state recitate
delle poesie tra queste il poema del poeta ungherese Petofi “In
piedi Ungheresi”, non c'erano altoparlanti e non si capiva bene.
Sulla caserma che dava sulla piazza molti soldati avevano spostato le
tegole del tetto per affacciarsi e vedere meglio. Era un'immagine
veramente suggestiva quella delle tante teste di soldati che
spuntavano dal tetto'.
Queste,
invece, le dichiarazioni infami rilasciate da personaggi schifosi che
conosciamo bene:
A
proposito della Rivolta di Poznań, il 30 Giugno del 1956 “L'
Unità” scrive:
“La
responsabilità per il sangue versato ricade su un gruppo di
spregevoli provocatori che hanno approfittato di una situazione di
temporaneo disagio in cui versano Poznań e la Polonia”
Per
Luigi Longo la rivolta Ungherese era una rivolta fascista:
“L'esercito sovietico è intervenuto in Ungheria per ristabilire
l'ordine turbato dal movimento rivoluzionario che aveva lo scopo di
distruggere e annullare le conquiste dei lavoratori”.
Ecco
come un antifascista - Brigate Garibaldi durante la resistenza,
presidente del PCI dal 1964 al 1972 - giustifica il massacro di 3000
Ungheresi, diverse migliaia di feriti e l'abbandono della propria
Patria da parte di circa il 3 % della popolazione ungherese (250.000
persone).
Ma
la dichiarazione più infame di tutte appartiene all'attuale
Presidente della Repubblica Italiana:
“(...)
l'intervento
sovietico in Ungheria (…) abbia contribuito, oltre che ad impedire
che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia
contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli
interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel
mondo.”
Agli
Dei gli devi fare davvero schifo.
Finita
belissimo articolo, queste son storie che purtroppo nelle scuole non vengono mai fatte studiare!
RispondiEliminaFinalmente ce lo siamo levati dalle palle!
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