martedì 23 ottobre 2012

" Sepolto è l'onore del mondo.."




Non si può raccontare la “Rivolta Ungherese” esulando dall'antefatto.
Potrei partire dalla rivolta di Poznań ma mancherebbe comunque un tassello al mosaico.
Quindi facciamo un passo indietro di qualche mese e partiamo dal Febbraio 1956, dal XX congresso del PCUS (Partito Comunista dell'Unione Sovietica).
Stalin è morto da 3 anni e già da un anno Krusciov ha iniziato la destalinizzazione riconciliandosi col maresciallo Tito.
Durante la celebre seduta a porte chiuse, tenutasi nella notte tra il 24 e il 25 Febbraio, Krusciov denuncia i crimini, gli atti illegali e le violenze compiute su ordine di Stalin, criticandone inoltre il culto della personalità che lo aveva portato a comportarsi in modo dispotico, scioccando i delegati del congresso che solo tre anni prima avevano sicuramente versato lacrime per la morte del “Piccolo Padre”. E' importante fare questa premessa perchè il congresso non solo diede inizio alla lotta per il potere in URSS ma aprì anche il dibattito nelle file del Partito Comunista Ungherese.

Il 28 giugno al grido di “Pane e Libertà” gli operai di Poznań, Polonia, si ribellarono al regime stalinista ancora attuato dall' URSS. L'esercito polacco represse questo moto di rivolta in un bagno di sangue, massacrando senza pietà più di 100 operai. La Rivolta di Poznań fu la prima scintilla di Libertà. Scintilla che molto presto raggiunse un altro Paese a regine stalinista, l'Ungheria. Scintilla che proprio in Ungheria fece divampare la rivolta.


Per parlare della Rivolta Ungherese è necessario, innanzitutto, inquadrare bene le condizioni nelle quali versava il popolo Ungherese. Il fallimento della politica economica le cui conseguenze furono povertà diffusa e salari non adeguati al costo della vita unito alla repressione di qualsivoglia sentimento di protesta hanno generato risentimento e insoddisfazione nei confronti del regime sovietico.
In questo clima il 22 Ottobre si tennero assemblee studentesche in diverse Università Ungheresi dalle quali emerse l'intento di uscire dalla “Gioventù Comunista” e fondare organi studenteschi autonomi. Per il giorno successivo venne convocata a Budapest una manifestazione di solidarietà ai lavoratori di Poznań.

Alla manifestazione parteciparono migliaia di studenti che ben presto vennero affiancati da migliaia di Ungheresi. In breve tempo si trasformò in una vera e propria insurrezione contro la presenza sovietica in Ungheria e contro Rákosi, una “vecchia guardia stalinista”, segretario del Partito Comunista Ungherese e capo del regime comunista della Repubblica Popolare Ungherese.
Appare subito chiaro che è un'occasione da non perdere. Forse le cose potrebbero cambiare questa volta.
I manifestanti sono circa 200.000 e agli studenti e a semplici cittadini si sono uniti molti soldati.
La folla a questo punto fa rotta verso il Parlamento, dalle bandiere Ungheresi viene strappato via il simbolo comunista, la statua di Stalin che si trova all'ingresso del parco di Budapest, viene “imbracata” con diverse funi e si prova a tirarla giù. Ma è davvero enorme, è una statua in bronzo alta 7metri, le funi non bastano e quindi si ricorre alla fiamma ossidrica con la quale si fondono le ginocchia e finalmente si schianta al suolo, riducendosi in tanti pezzi.


Alcuni studenti si recano alla sede della radio per far sì che vengano lette le loro rivendicazioni ma la direzione della radio gli tende una trappola facendo finta di accettare e facendoli trarre in arresto dall'AVH (la polizia di sicurezza) una volta entrati. Immediatamente il palazzo viene circondato dai manifestanti e la polizia inizia a sparare sulla folla che, successivamente, intercetta un'ambulanza piena di armi nascoste che avrebbe dovuto raggiungere la sede della radio per rifornire le guardie dell' AVH, e comincia a rispondere al fuoco.
Per riportare la calma si opta per l'intervento dell'Armata Rossa, credendo che lo schieramento dei carri armati avrebbe avuto l'effetto di sedare la rivolta, così come era successo a Berlino Est 3 anni prima. 
Non andò così e alla comparsa dei primi T34 l'insurrezione si inasprì diventando ancora più violenta.
Si decide, a questo punto, di affidare a Nagy il compito di formare il Governo.


Imre Nagy era un dirigente comunista che già nel 1953 aveva guidato il Paese ma, accusato di “troppo liberalismo", venne destituito ed espulso dal Partito.

Piazza Kossuth è la piazza davanti al Parlamento.
Il 25 Ottobre i manifestanti stanno parlando coi soldati dell'Armata Rossa. All'improvviso, però, qualcuno comincia a sparare dalle finestre, i soldati rispondono senza guardare in faccia a nessuno, trucidando decine di persone. L'ennesimo atto intollerabile che fa montare ulteriormente ed estendere la Rivolta in tutta l'Ungheria.

Cinque giorni dopo l'esercito lascia la città.
Il clima adesso è più disteso, la speranza è quella di aver vinto e aver mosso il primo passo verso la Libertà.
Gli studenti, adesso, fomentati da quella che credono una vittoria, non sono più disposti ad accettare l'idea di un governo comunista, Nagy lo intuisce ed accetta di formare e guidare un governo di coalizione.
Sapeva benissimo che la fine del “sistema a partito unico” non poteva essere tollerata dall'URSS. Ma lui e i membri del nuovo governo erano ormai in ballo e decisero di calcare la mano, dichiarando che l'Ungheria usciva dal patto di Varsavia e proclamandone la neutralità sperando che l'ONU considerasse un nuovo intervento militare russo come un'aggressione e intervenisse a sostegno dell'Ungheria.

E' il 4 Novembre, questo è l'ultimo messaggio radiofonico di Nagy:
«Qui parla il Primo Ministro Imre Nagy. Oggi all'alba le truppe sovietiche hanno aggredito la nostra capitale con l'evidente intento di rovesciare il governo legale e democratico di Ungheria. Le nostre truppe sono impegnate nel combattimento. Il governo è al suo posto. Comunico questo fatto al popolo del nostro Paese ed al mondo intero.»
Questo messaggio radiofonico viene seguito da disperate richieste di aiuto in tantissime lingue.

L'Armata Rossa è schierata alle porte di Budapest, pronta ad attaccare.
Alle 4 del mattino 15 divisioni corazzate sovietiche e 6000 uomini attaccano l'Ungheria.
La resistenza non durò molto, dopo 4 giorni di scontri asprissimi nelle strade la rivolta venne completamente domata.
Nagy, che ormai era diventato pericoloso, come tutti i simboli nazionali, agli occhi di chi non comprende la necessità di autodeterminazione dei popoli, viene arrestato e deportato in Romania; dopo 2 anni di detenzione viene riportato in Ungheria, subisce un processo a porte chiuse, e viene impiccato il 16 Giugno del 1958.
Viene seppellito insieme agli altri “martiri del '56” in una tomba senza nome nel cimitero della capitale Ungherese.
Solo 31 anni dopo ricevettero i funerali di Stato in Piazza degli Eroi.



Questa la testimonianza di Imre Mecs, uno studente che venne condannato a morte nel 1957 e che con queste parole ricorda quel Martedì del 23 Ottobre 1956:
'La manifestazione del 23 ottobre venne decisa dall'assemblea tenuta la sera e la notte precedente al Politecnico. La mattina il corteo è stato proibito e la proibizione è stata ribadita per radio ogni ora. Ma abbiamo convocato ugualmente una nuova assemblea dove venne il Vice Ministro degli interni a dirci che il veto era stato revocato. Per evitare provocazioni siamo partiti subito in gruppi di dieci stretti per mano, nel frattempo arrivavano anche i giovani operai dalle fabbriche del quartiere con le bandiere nazionali bianco rosso e verde e le bandiere rosse, eravamo circa diecimila al momento della partenza. Quando siamo entrati nella piazza c'era già una folla enorme e anche la nostra organizzazione ha cominciato ad allentarsi. Anche il vicino Ponte Margherita si era riempito di gente. In piazza Ben il poeta Péter Veres ha tenuto un discorso, sono state recitate delle poesie tra queste il poema del poeta ungherese Petofi “In piedi Ungheresi”, non c'erano altoparlanti e non si capiva bene. Sulla caserma che dava sulla piazza molti soldati avevano spostato le tegole del tetto per affacciarsi e vedere meglio. Era un'immagine veramente suggestiva quella delle tante teste di soldati che spuntavano dal tetto'.

Queste, invece, le dichiarazioni infami rilasciate da personaggi schifosi che conosciamo bene:

A proposito della Rivolta di Poznań, il 30 Giugno del 1956 “L' Unità” scrive:
La responsabilità per il sangue versato ricade su un gruppo di spregevoli provocatori che hanno approfittato di una situazione di temporaneo disagio in cui versano Poznań e la Polonia”

Per Luigi Longo la rivolta Ungherese era una rivolta fascista: “L'esercito sovietico è intervenuto in Ungheria per ristabilire l'ordine turbato dal movimento rivoluzionario che aveva lo scopo di distruggere e annullare le conquiste dei lavoratori”.
Ecco come un antifascista - Brigate Garibaldi durante la resistenza, presidente del PCI dal 1964 al 1972 - giustifica il massacro di 3000 Ungheresi, diverse migliaia di feriti e l'abbandono della propria Patria da parte di circa il 3 % della popolazione ungherese (250.000 persone).

Ma la dichiarazione più infame di tutte appartiene all'attuale Presidente della Repubblica Italiana:
(...) l'intervento sovietico in Ungheria (…) abbia contribuito, oltre che ad impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo.”



Agli Dei gli devi fare davvero schifo.

                                                                                                                                                         Finita

2 commenti:

  1. belissimo articolo, queste son storie che purtroppo nelle scuole non vengono mai fatte studiare!

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  2. Finalmente ce lo siamo levati dalle palle!

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