martedì 9 ottobre 2012

Orfeo ed Euridice


Nessuna civiltà occidentale ha dato al mito l'importanza pedagogica e culturale al pari di quella ellenica. Sublimando la pratica in uso presso tutte le antiche civiltà del bacino mediterraneo, il mondo greco seppe portarlo a livelli di raffinatezza mai visti prima. Ne fece il soggetto principale in ogni campo dell'arte figurativa, nella filosofia, nel canto e nella musica. La florida “produzione” mitologica greca ha attraversato tre millenni di storia, diventando a tutti gli effetti uno dei cardini della cultura e dell'arte di tutta Europa. Uno dei più toccanti racconti mitologici è sicuramente quello di Orfeo ed Euridice. Virgilio lo ha reso celebre con la sua prosa elegante:

Orfeo cantava e suonava in modo dolcissimo: ad ascoltarlo si fermavano le acque dei fiumi, gli animali feroci diventavano mansueti, le piante accorrevano da lui e persino le pietre versavano lacrime commosse. Orfeo era sposato con la ninfa Euridice, che a causa della sua straordinaria bellezza era diventata oggetto degli ardenti desideri di Aristeo, un altro figlio di Zeus. Quest’ultimo la seguiva dappertutto nel tentativo di farla sua e un giorno, mentre lei se ne stava con le altre ninfe, Aristeo, preso dalla passione, iniziò a rincorrerla. Euridice scappò in preda alla paura e, mentre correva, fu morsa da un serpente velenosissimo, che le provocò la morte. La sua fine colpì particolarmente Aristeo, ma molto di più si disperò Orfeo che restò per giorni disteso sul corpo della sua amata a versare lacrime. Egli pianse e pianse, cantando non più le glorie degli dei, le bellezze dell’universo e le dolcezze dell’amore, ma la crudeltà della vita, il dolore della morte e il lamento della solitudine. Le piante commosse suggerirono al poveretto di recarsi nell’Oltretomba per convincere, con il suo canto, le divinità infernali a riportare in vita la ninfa.

Così Orfeo entrò negli Inferi: lo spettacolo avrebbe raggelato il sangue del mortale più coraggioso, ma egli, forte del suo amore, non si perse d’animo. Iniziò a suonare con la cetra un canto melodioso e, come per un incantesimo, addolcì quei mostri terribili, permettendo ad Ermes di guidarlo da Ade e da sua moglie Proserpina. I due oscuri sovrani si lasciarono ammaliare dal canto di Orfeo e gli consentirono di riportare Euridice in vita a patto di non guardarla per tutto il tragitto di uscita dagli Inferi. Orfeo soddisfatto recuperò Euridice, ma ad un passo dall’uscita si voltò e la condannò, così, a restare nel Mondo dei morti per l’eternità.”

La domanda che racchiude in sé la profondità di questo racconto è: perché Orfeo si volta? Perché un essere dalle caratteristiche eccezionali, capace di influenzare col suo canto l'umore degli dei e della natura, disposto a discendere nell'Ade per riprendersi l'amata, non riesce a distogliere lo sguardo il tempo necessario a riportarla in vita? Senza un'adeguata risposta a questo interrogativo, il mito di Orfeo ed Euridice rimarrebbe una favola di scarso spessore, risolta con un escamotage di basso livello.

Occorre quindi scavare nella cultura greca, presso la quale l’amore è indissolubilmente legato alla conoscenza che avviene attraverso la vista. Non si può amare se non si conosce e non si può conoscere se non si vede, per cui non si può amare senza vedere. Alla luce di questa premessa, la richiesta apparentemente semplice di Ade si rivela quindi una sfida paradossale. Orfeo, infatti, solo smettendo di amare Euridice può riuscire ad evitare di guardarla; negarle lo sguardo significherebbe far cessare i sentimenti di amore che lo hanno portato fin laggiù. Raggiungere lo scopo, per cui era disceso nel Mondo dei morti, rappresentava la negazione della causa che lo aveva mosso. Euridice lo sa ed è per questo che gli dice: ”Ahimè, dolce Orfeo, troppo mi hai amata e per questo mi hai perduta per sempre!” Orfeo dopo essere riuscito a sfidare i limiti mortali; dopo essersi recato negli Inferi ed essersi presentato al terribile Ade non come eroe, ma come vate e dopo averlo incantato con i suoi versi e avere ottenuto il dono di riportarla in vita, si blocca, perché farle varcare la soglia fra la vita e la morte significherebbe negarle il suo amore, l’unica cosa che lui le può offrire; così Orfeo raggiunge la sua bella Euridice e la guida fino alla luce; ma poi si volta e immortala la bellezza di quell’istante unico e magico, dandole l’estrema prova del suo amore, reso immortale nel Mondo del non ritorno.




Valeria

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