Adriano Scianca è nato a Orvieto nel 1980. Laureato a Roma in filosofia, è giornalista e scrittore. Ha collaborato a numerose riviste culturali, tra cui 'Orion', 'Letteratura-Tradizione' ed 'Eurasia'.
Responsabile cultura di CasaPound Italia, gestisce l' 'Ideodromo', ha redatto Il Manifesto dell'EstremoCentroAlto e ha scritto il libro 'Riprendersi tutto. 40 concetti per una rivoluzione in atto'.In questa intervista parleremo proprio di quest'ultimo libro.
1) Partiamo subito forte, Adriano: "Riprendersi Tutto", questo il titolo del tuo libro. Perché questa scelta? Cosa rappresenta quel "tutto" che è da riprendere?
“Riprendersi tutto” – formula che nasce nell'ambito delle sperimentazioni avanguardistiche dei Turbodinamisti – significa innanzitutto porsi nei confronti del mondo che ci circonda con attitudine conquistatrice. Come dice sempre il camerata che ha scritto la prefazione al mio saggio: il mondo è oggetto di conquista.
2) Al terzo anno di vita di CasaPound Italia sono usciti due importantissimi libri: il primo, di Domenico di Tullio, è un romanzo per il grande pubblico, un romanzo che vuole mettere in evidenza un aspetto fondamentale della vita attiva in CasaPound Italia, uno stile di vita che gira intorno alla ricerca dell'Idea di Bellezza in qualsiasi gesto, in ogni atto della vita; il tuo invece sviluppa quaranta concetti per una rivoluzione che è già in atto. Il conquistare (o il riconquistare) nuovi spazi nella società, passa anche dalla conquista di nuovi spazi nelle librerie delle varie città? Questi libri, questo tipo di produzione culturale, rappresentano tale tentativo di conquista?
Certamente, ma non dimentichiamo che un libro, prima di essere un'operazione metapolitica, è un veicolo per spiegare e descrivere, per affascinare, per demistificare. La prima riconquista è avere qualcosa da dire. La seconda riconquista è saper dirlo bene. La terza riconquista è riuscire a dirlo a un pubblico più ampio possibile. Da quest'ultimo punto di vista è ovvio che il caso “Nessun dolore” - anche a prescindere dai contenuti, ovviamente ottimi - rappresenta qualcosa senza precedenti, uno spartiacque, il segnale che qualcosa è cambiato davvero.
3) Dalla "bellezza" immortalata, cercata o scoperta in uno squarcio di vita alla teoria di suddetta "bellezza". Potremmo riassumere così il rapporto tra il romanzo di Domenico Di Tullio, "Nessun Dolore", ed il tuo saggio?
Vedi, CasaPound è così: che tu legga un romanzo o un saggio, che tu ascolti un brano degli Zetazeroalfa o osservi un manifesto, avrai la stessa “cosa” inquadrata da prospettive diverse e declinata secondo linguaggi differenti. Ma ciò che è importante è che quella “cosa” permette a ognuno di riconoscersi in essa e di fondere le prospettive in un percorso comune. Quindi, in definitiva, “Riprendersi tutto” e “Nessun dolore” sono diversissimi eppure simili, perché partono dalla stessa origine e hanno la stessa destinazione (lo stesso destino?), situate in via Napoleone III.
4) Sempre per quanto concerne il concetto di Cultura - che tu hai messo bene in evidenza nel libro, ed hai ribadito durante la tua presentazione -, cosa bisogna fare, secondo te, per uscire dal ghetto della subcultura, per penetrare all'interno delle logiche culturali contemporanee? Insomma: qual è il nostro modo di "cavalcare la tigre"?
Le pareti del ghetto vanno giù non appena cessi di pensare che esistano. In altri tempi forse questo poteva essere meno vero, oggi non abbiamo più scuse. Come cantava Sottofasciasemplice? “...Ed è sempre in Italia che ti dicono 'guarda qui dentro e fai la faccia cattiva' / Sfs Sottofasciasemplice io lì dentro non ci voglio guardare / Sfs sottofasciasemplice faccio quel cazzo che mi pare”. Ecco, la tigre la cavalchi nella misura in cui fai davvero quello che ti pare. Non nel senso edonistico-consumista, ovviamente, ma agendo con consapevolezza al di là di ogni condizionamento, compresi i condizionamenti culturali e psicanalitici sulla necessità di fare, appunto, la “faccia cattiva”...
5) Verso quale pubblico è indirizzato questo testo? Ha primariamente una funzione di pedagogia politica per il militante, o ritieni possa essere d'aiuto anche ad un più vasto pubblico?
Un libro deve necessariamente camminare con le sue gambe e andare anche dove il suo autore non avrebbe immaginato. Detto questo mi piacerebbe che di “Riprendersi tutto” si facessero carico soprattutto i militanti di Cpi. Dico “farsene carico”: è più di “leggere” soltanto. Significa entrare nel cuore delle problematiche poste sul piatto dal libro – e se necessario superare le risposte che esso propone. Insomma, vorrei che i militanti “vivessero” il libro, avendo anche l'indipendenza di giudizio per saper andare oltre di esso ove ce ne sia bisogno. Se poi “Riprendersi tutto” aiuterà anche qualche osservatore esterno a farsi un'idea più autentica di Cpi, ben venga. Ma non facciamoci illusioni...
6) Entriamo dentro il testo: nel libro, soprattutto quando parli di Valori e Tradizione, sembra quasi tu voglia dissacrare alcuni 'miti' del neo-fascismo; la voce Ebraismo,invece, pare voglia eliminare una fobia che ha accompagnato gli 'eredi' del ventennio in questi 66 anni. E' proprio quello l'obiettivo che ti eri pr
efisso con questi punti?
No, non direi che il mio obiettivo fosse “dissacrare miti” o “eliminare fobie”, espressioni che farebbero di me un banale iconoclasta o un terapeuta ideologico. Ciò che volevo era solo mostrare in tutta la loro complessità termini che troppo spesso vengono stereotipati. Nello specifico: sui valori non ho detto nulla che Schmitt o Nietzsche non abbiano già spiegato. Sulla tradizione credo di aver fatto un punto cercando di mantenere ciò che andava mantenuto aggirando, però, le secche delle interpretazioni distorsive. Quanto all'ebraismo, credo che al di là della paranoia e del politicamente corretto ci sia la via dell'oggettività e della lucidità che ormai abbiamo la maturità per poter imboccare.
7) Tra le pagine leggiamo:" la volontà è uno specifico desiderio di conquista". Possiamo dunque affermare che CasaPound è un movimento di volontà?
Nel libro cerco di catturare l'essenza di Cpi con questa triplice formula: “Volontà di potenza. Volontà di forma. Volontà di destino”. Mi sembra un ottimo modo anche per rimarcare la differenza tra noi e la sinistra cosiddetta “antagonista”, alla quale qualcuno superficialmente ci accosta.
8)"Le nostre vite sono, infatti, storie che costituiscono un unità narrativa che dà loro un senso".Concetto magnifico, che ben sintetizza un percorso di scelte e responsabilità. Noi che questo senso complessivo, questa trama, l'abbiamo trovata in CasaPound, non siamo forse fortunati? Non sta forse qui, in parte, la ragione fondamentale del nostro surplus di vita, della nostra solarità, della nostra bellezza?
Il concetto della “unità narrativa della vita” lo ho preso dal filosofo Alasdair MacIntyre, anche se lo ho reinterpretato a modo mio. Significa che, di fatto, la tua vita non è un insieme caotico di attività slegate fra loro ma deve avere un senso globale, come fosse una storia narrata da un autore che tu stesso devi riuscire a essere. La militanza – e soprattutto la militanza come la intende CasaPound – è un ottimo strumento per dare unità e coerenza a un progetto di vita. Non credo però si tratti di fortuna: ognuno di noi ha scelto di essere qui, non ci è capitato per caso. E tale scelta va confermata ogni giorno, senza sconti, senza indulgenze e senza autocompiacimenti. Sì, siamo belli. Non ce lo diciamo a vicenda, però. Dimostriamolo.
9)Non ritieni che questo sentirsi al proprio posto nel mondo e con noi stessi emerga come un dato tangibile e palpabile anche fisicamente da tutti i nostri interlocutori? Che sia proprio questo che li colpisce immediatamente?
Non saprei dire qual è il fattore dominante nell'oggettivo interesse che molti esterni nutrono verso Cpi. Non sopravvalutiamo, comunque, l'onestà intellettuale delle persone: il confronto vero, quello fra identità forti che si guardano negli occhi, il “rispecchiamento guerriero”, per usare una felice espressione (non mia) che cito nel libro, è raro. Spesso chi viene da noi vuole dimostrare qualcosa a se stesso o “ai suoi”. Va bene, per carità, noi non facciamo gli psicanalisti: se uno vuol discutere discutiamo senza chiedergli conto dei suoi moti interiori. Ma stiamo attenti affinché i riflettori restino una conseguenza e non un fine. La nostra forza, fino ad ora, è stata esattamente questa.
10) Ultima domanda: il libro finisce con la post-fazione di Gianluca Iannone, colui che 'sa dar vita ai sogni'. Quanto è importante il suo contributo per questo tuo libro?
Fondamentale, direi. Primo, perché senza Gianluca non esisterebbe Cpi e quindi non ci sarebbe alcuna “rivoluzione in atto” da descrivere. Secondo, perché un conto è dire “sto scrivendo un libro” e un altro è scriverlo davvero e fino in fondo. Senza Gianluca (che mi ha incoraggiato, incalzato, persino minacciato), il passaggio dall'una all'altra fase non sarebbe stato così scontato. Terzo, perché tutto il libro si basa sull'esplicitazione delle sue intuizioni: pensa solo al capitolo “Natura”, dove arrivo addirittura a citare in nota una mia chiacchierata al Cutty Sark con lui e subito dopo richiamo come se niente fosse dei concetti di Martin Heidegger. Ecco, in questo passaggio c'è un po' il senso di tutto il libro, direi...
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