giovedì 22 settembre 2011

3 soluzioni (drastiche) per uscire dal gioco del debito pubblico

È del 12 Settembre 2011 la notizia che, in un disperato tentativo di racimolare più soldi possibili da ridare ai padroni/creditori del debito pubblico ellenico, la Grecia ha varato una nuova maxi tassa che questa volta andrà a colpire, neanche a dirlo, la casa dei cittadini greci. Anche la prima, s’intende. Una tassa una tantum (per adesso) fino a dieci euro per ogni metro quadro di casa posseduta. Cifra che aumenta fino a trenta euro se, putacaso, con i risparmi di una vita di duro lavoro, l’abbiente cittadino greco avesse avuto la malsana idea di comprarsi una casetta al mare, giusto quaranta metri quadri per rifuggire il logorio alienante della vita lavorativa. Una tassa che già si aggiunge agli enormi sforzi che la cittadinanza greca dovrà sostenere per compiacere le banche ed i fondi d’investimento stranieri (francesi e tedeschi su tutti) e ripagarli del “legittimo” lavoro di speculazione che in tutti questi anni hanno perpetrato nei loro confronti.



Lavoro di speculazione che ha portato i tassi d’interesse sui titoli greci con scadenza biennale al 50% (!). In pratica se la Grecia volesse finanziarsi sul mercato con titoli di stato da ripagare tra due anni dovrebbe rendere, oltre al prezzo del titolo, la metà
ed oltre! Questo sistema ha un nome solo e si chiama: usura. E com’è che sono saliti così tanto i tassi d’interesse greci? Semplice. L’ha deciso il mercato. L’hanno deciso l’incontro tra domanda e offerta di titoli di stato. Se un Paese è ritenuto debole, attaccabile, insicuro sul da farsi, timoroso, spaccato al suo interno, allora la domanda stenterà a decollare, ed il paese dovrà promettere più alti tassi d’interesse per assicurarsi un finanziamento. Ed ancora: chi è che dà le informazioni sullo “stato di salute” di un paese al mercato? Le agenzie di rating. Agenzie private finanziate dagli speculatori (Fitch dagli speculatori francesi, Moody’s da Warren Buffett, Standards & Poor’s da altri magnati della finanzia internazionale) che dall’alto della loro purezza morale si mettono a decidere le sorti sul mercato dei vari paesi strozzati dall’usura del debito.


Italia compresa. Perché coloro che tramano contro la Grecia sono gli stessi che si sono “assicurati” col sistema Italia. Se fallisce la Grecia, cominceranno a spillare soldi da noi, dalla Spagna, dall’Irlanda e dal Portogallo. Già lo stanno facendo, questo è ovvio, ed in quantità enormi. Infatti non solo con titoli di stato s’indebitano i paesi, ma anche con ogni sorta di credito che le banche, francescanamente, “offrono” allo Stato Italiano. Prendiamo per esempio quella assurdità che sono i contratti derivati: roba che capisce nel dettaglio solo chi ha studiato economia finanziaria per anni e si è specializzato sull’argomento. Contratti-scommesse assicurative dove, certo, puoi guadagnare, ma è molto più probabile che tu perda. E parecchio. Ecco: finché il rischio se l’assume il privato con i soldi che ha guadagnato, niente da eccepire. Ma quando il rischio se lo assume un ente pubblico? O meglio: quando l’ente pubblico è costretto col “ricatto del credito” e aggirato dall’astuzia dei cervelloni al soldo delle banche? Che succede se una fetta importante dei comuni, province e regioni italiane saranno costrette per i prossimi venti anni a pagare un tanto (…ma tanto!) al mese alle banche per ripagare gli “inconvenienti” del contratto derivato? Anche se trovassimo tanti soldi per ripagare il debito pubblico tutto in una volta, il sistema dell’usura internazionale ci ha comunque vincolati per anni ed anni, rendendoci schiavi della finanza. Ed è ovvio che anche da noi ci siano gli entusiasti sostenitori del sistema dell’usura che propongono per l’Italia “misure drastiche”, “privatizzazioni”, “svendite del patrimonio”, come fa oggi (per la verità come fa tutti i giorni da vari anni a questa parte) IlSole24Ore. Che gioielli ha l’Italia da vendere per ripagare la povera banca troppo “esposta” con titoli di stato italiani? ENI, Finmeccanica, ENEL... Bene! Che le venda! Che si privi di quel poco di sovranità energetica e – di conseguenza – di quel poco di “peso” in politica estera che le è rimasto, per ripagare Unicredit, UBS, Monte dei Paschi, BNP, Ubi, SG, Deutschebank! Così vuole il mercato!

Siamo seri: qual è la ricetta per uscire da questa situazione? Tre soluzioni, semplici ed efficaci. Una sul piano interno, per quanto concerne l’Italia, una sul piano internazionale, una sul piano interno europeo. Tanto semplici quanto efficaci.

Numero uno: varare una legge d’urgenza che reciti testualmente: “Disposizioni urgenti in materia economica: visto l’articolo 1 comma 2 della Costituzione, ritenuto atto di lesa sovranità il giogo imposto dagli intermediari finanziari italiani e stranieri agli enti pubblici italiani, sono ritenuti nulli sin dal momento di entrata in vigore di questa legge, tutti i tipi di contratti derivati stipulati dalle banche italiane o straniere nei confronti di qualsiasi tipo di ente che tragga anche una minima parte del suo finanziamento dai soldi pubblici”. Quanto risparmieremmo con questa legge? Di per certo trenta miliardi di euro, cioè la cifra che gli enti italiani devono dare alle due principali banche d’investimento francesi. Quasi sicuramente molto di più, considerando tutte le altre banche.

Numero due: la Grecia deve dichiarare il default. Non rendere più niente alle banche ed ai fondi d’investimento che l’hanno portata in questo stato e adesso la stanno spremendo fino all’osso prima di uscire completamente e lasciarla cadere. Ripartire da zero abolendo tasse, balzelli e imposte speciali che gravano in maniera spropositata sui cittadini greci. Come mai non è stata percorsa questa strada? Anche qua la risposta è semplice. Nonostante la Grecia sia virtualmente fallita da tempo ormai, Germania e Francia si stanno opponendo ad ogni ipotesi di “credit event” (cioè di fallimento manifesto) perché temono ripercussioni sulle proprie banche d’investimento. BNP Paribas, Deutche Bank, Société Genérale… Sostanzialmente stanno cercano le parole giuste da usare con i banchieri del proprio paese, parole corroborate magari da svariati miliardi di euro (che non sarà mai tanto quanto avrebbero voluto) cacciati dai cittadini greci e dati alle banche come liquidazione anticipata per il proprio encomiabile lavoro di attacco perenne allo Stato greco. E l’Italia? Toccherà anche a noi fallire per “effetto contagio”? Non è detto, ma anche se fosse? Fallire non è morire, lo dicono perfino gli americani. Si riparte da zero senza la spada di Damocle del debito. Siamo o non siamo uno Stato Sovrano?

Numero tre: svincolare l’Europa dall’eterna sottomissione alle agenzie di rating istituendone una europea finanziata con i soldi pubblici e capace di influenzare il mercato tramite proprie pagelle sui propri stati. L’ha fatto la Cina, con la sua piccola agenzia di rating “Dagong” che pian piano sta prendendo terreno e si sta legittimando. Perché non può farlo l’Europa?

Queste sono tre misure sicuramente drastiche, sicuramente non sufficienti, ma un buon punto di partenza per ristabilire il giusto equilibrio tra decisione politica e forza della speculazione. Altre sarebbero ancor più necessarie. Per esempio la nazionalizzazione delle banche, che consentirebbe di strappare loro il potere di speculazione che possiedono. Per il momento ci accontenteremmo (e dici poco!) di questo.

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