giovedì 11 agosto 2011

IL MIGLIOR INSEGNAMENTO DELLE RIVOLTE INGLESI



Praticamente un anno fa, nella multiculturale e variegata periferia di Grenoble, in Francia, scoppiava la violenza degli abitanti della banlieu contro tutto ciò che vi era da colpire. Scontri con le forze dell’ordine, auto date alle fiamme, cassonetti ribaltati, vetrine dei negozi infrante, solito copione delle ormai celeberrime “rivolte” delle periferie francesi. Praticamente un anno dopo, nella multiculturale e variegata City londinese, in Inghilterra, scoppiava la violenza in vari quartieri, che presto si estendeva – seppur con diversa intensità – a varie altre città. Scontri con le forze dell’ordine (che per la verità si son viste bene dall’intervenire prontamente), cassonetti ribaltati, vetrine dei negozi infrante. Il copione pare il solito, eppure già a prima vista c’è qualcosa che sembra non combaciare perfettamente. Eppure anche il casus belli sembra il solito: un giovane ucciso dalla polizia durante un inseguimento. Poi la rabbia della periferia che tracima e come un fiume in piena travolge tutto e tutti.


Se per le rivolte delle banlieu (ed in particolare quella di Grenoble) si può scorgere un odio sociale, un qualcosa che ha anche – ed ovviamente non solo – a che fare con il fallimento del progetto multiculturale e multirazziale (leggi: multirazzista), che è risultato

tangibile e messa in pratica di certe idealità civiche maturate negli ambienti progressisti francesi; per questa “rivolta” inglese, il discorso da fare è certo diverso.

Certa sociologia ideologizzata in compagnia di certa retorica politica, inquadrerebbero l’evento secondo schemi interpretativi precostituiti, e lo liquiderebbero come una “rabbia sacrosanta […] figlia del furore contro una diseguaglianza che ha travolto ogni umana

decenza” (Paolo Flores D’Arcais sul Fatto Quotidiano). Dunque né più né meno la stessa dinamica delle “rivolte” arabe (anche qua le virgolette son d’obbligo), che pure evidentemente montate ad arte dall’Occidente, paleserebbero la naturale ribellione contro l’autoritario dominio dei vari rais. Oppure, sempre certa sociologia, noterebbe “nella forma elemen

tare e prepolitica del saccheggio […], una nuova lotta di classe” (Alessandro Del Lago su Liberazione). Il solito copione anche qua. La società come colpevole, l’uomo, l’individuo, come unica e inerme vittima, che proprio in quanto vittima si fa carnefice. Dunque il germe di una nuova lotta di classe? Ma, onestamente, c’è qualcosa che non convince anche in questa lettura. Infilarci a forza Marx parrebbe, o almeno pare a chi scrive, una forzatura bella e buona.


Aldilà delle differenze scenografiche e di contesto urbano tra Grenoble e Londra, vi sono alcuni aspetti fondamentali che vanno tenuti di conto per un analisi del fenomeno.

Come prima cosa, i fantomatici rivoltosi emarginati dalla società, sono in realtà un vasto, disarticolato ed eterogeneo agglomerato umano. Molto più eterogeneo e variegato dei loro omologhi nelle banlieu francesi. Vi sono in grossa percentuale i ragazzini delle famiglie basso-borghesi, ma anche decisamente borghesotte, che hanno colto l’occasione di una polizia

inefficiente e sono diventati i proverbiali ladri, pronti a saccheggiare i negozi per accaparrarsi il tanto agognato I-phone 4 che il padre non ne voleva proprio sapere di comperare con il sudato stipendio. Poi ci sono gli esponenti di un proletariato (bianco e nero) comodamente stipendiato da uno stato che, per chi non lo sapesse, paga un assegno ad emarginati di vario tipo (tossici e casi problematici di vario genere), fortemente disincentivati a ricercare un lavoro, ma ni

ent’affatto propensi a rinunciare alle ultime sneakers Adidas, o al Pioneer per improvvisarsi producer Drum n’ Bass o Hip Hop, e rigurgitare il proprio (artificiale) disagio sociale nei loop e nelle rime.

In secundis l’immagine che meglio rappresenta questa fantomatica rivolta degli oppressi (c’è chi azzarda parallelismi con gli ottocenteschi assalti ai forni), come accennato nel primo punto, è proprio quella del ragazzo ben vestito (si fa per dire), con tanto di cappello New Era che fa molto Harlem (25 sterline, con Mastercard), pantaloni Adidas (in completo con la track top, 80 sterline con Mastercard), e giubbotto certamente di marca (scontato al 30%, 90 sterline con Mastercard), che sferra un calcio volante tecnicamente perfetto (abbonamento alla palestra di arti marziali, 30 sterline al mese sempre con Mastercard), incurante della salute delle sue sneakers Nike nuove di pacca (90 sterline con Mastercard), per entrare nel negozio di elettronica ed accaparrarsi tutto il possibile (ci sono cose che non si possono comprare…).

Beh. Più che un assalto carico d’odio ai simboli di un’opulenza capitalista che annichilisce la dignità di chi non detiene la proprietà dei mezzi di produzione, ci vedo piuttosto una volontà di accaparrarsi il più possibile e con il minore sforzo, che mi sa tanto di pulsione irrazionale e di ingordigia, degna della miglior avidità borghese capitalista. Più che il disprezzo per i simboli del potere, più che un proletariato con coscienza di classe che attacca i prodotti della società del consumo, ci vedo la voglia del possesso dello status symbol per sfoggiarlo alla nuova morosa. Roba che di rivoluzionario e di romantico non ha proprio niente.



Dunque quali sono le conclusioni? Cos’è che davvero rileva nell’analisi di questi riots d’oltremanica? A mio avviso la risposta si articola in una parte “politica” ed in una parte, per così dire, “antropologica” (in senso lato).

La parte politica è la seguente. Indubbiamente queste “rivolte” palesano un problema della società inglese, ma non solo. Questo problema non è (o non solo) la diseguaglianza di reddito, o la diseguaglianza culturale, bensì la totale mancanza di tessuto comunitario.. Questi sono soggetti completamente disaggregati e sganciati da qualsiasi tipo di legame comunitario. Non c’è la famiglia alle spalle che può fungere da “datore di senso” della vita; il gruppo dei pari è quel che è; lo stato è presente solo quando sgancia un assegno (per i presunti disadattati); di rapporti di vicinato o di solidarietà da “quartiere”, non importa dirlo, non se ne vede nemmeno l’ombra. Più che il risultato dei tagli del governo Cameron, queste rivolte paiono essere il risultato di politiche progressiste di smantellamento del tessuto comunitario (dunque anche e soprattutto familiare).

La parte “antropologica” è invece questa. Bisognerebbe far notare che non sempre una rivolta deve per forza avere una spiegazione sociologica coerente che la faccia digerire al popolino. Certo, la si può fornire, sia pur palesemente errata, per aiutare nell’individuazione di un nemico (sia esso il “negro di Tottenham” o la “società capitalista”), questo è anche comprensibile nella dialettica politica. Ma non scordiamoci che le masse, in quanto masse, agiscono con una psicologia particolare, e sono spesso preda di pulsioni irrazionali e bestiali. Quando l’uomo non è Uomo ma mero individuo, semplice cittadino, soggetto “tout court”, allora può regredire al rango di bestia. Ecco. Più che una rivolta quella di Londra pare (come suggerito sul Foglio di Giovedì 11 Agosto da Daniele Ranieri) un’invasione di locuste. C’è nell’uomo semplice un’animalesca predisposizione alla devastazione ed al caos. Mettici una certa ammirazione per la “cultura della delinquenza” che cresce in certi contesti urbani, ed ecco che hai ottenuto la ricetta per lo scoppio di violenza cieca.

Tiriamo le somme: chi ha fornito l’esempio da seguire nelle rivolte di Londra? Il governo law and order che dispiega sedicimila agenti? Decisamente no. I distruttori delle proprie stesse strade, del proprio stesso quartiere, i saccheggiatori, i teppisti? Direi di no. I plotoni armati di scopa che puliscono la città? Un’altra volta, no. O meglio: sicuramente in sé e per sé è una cosa buona e giusta, ma lo vedo piuttosto come un evento sul quale i giornali soprattutto britannici hanno posto l’accento in maniera artificiale per avvalorare una certa idea cameroniana di Big Society, dunque un qualcosa che in teoria è buono e giusto, ma in pratica risente di una forzatura partigiana, un po’ troppo retorica e poco pratica.

L’esempio l’hanno dato – udite udite – le comunità (quelle sì che sono vere comunità) arabe che proteggono il loro territorio, le loro famiglie che vivono sopra i negozi, le fatiche di una vita armati di mazze e bastoni. I sikh che proteggono le loro chiese schierati a mo’ di legione romana. Gli hooligans del Millwall che proteggono i propri pub con dei veglioni notturni a suon di birre e cazzotti a chi si avvicina al portone. Insomma, il poco di comunità che ancora c’è rimasto in Inghilterra.

Tutto ciò a dispetto di una polizia che è stata inerme, dei cittadini atomizzati ed impauriti all’interno delle proprio case, dei turisti che si radunavano in quei luoghi giusto per avere qualcosa da raccontare al loro ritorno. Tutto ciò a dispetto della gente che tutto aveva da perdere, e niente da dare.

Tommaso Nistri



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