Uno dei maggiori pregi dei bambini è la curiosità. Si divertono a tartassare i grandi con domande assillanti, su tutto, su qualsiasi cosa venga loro in mente, e a noi non resta che sospirare e far poi mente locale per capire quale sia la risposta più comprensibile e semplice. Le loro strane domande ci portano spesso a riflettere, se non altro perché ci fanno accorgere di aver perso quel forte senso critico e quella lucidità che porta ad interrogarsi su tutto, persino sul significato di parole banali, quotidiane, che apparentemente non hanno nulla di straordinario.
Che accade dunque, quando uno di loro ci chiede, ad esempio:
“Che significa tuta? Perché si chiama così?”. Noi risponderemo che si tratta di un capo comodo che le persone usano per l’attività sportiva, ma il bambino non si accontenta, il bambino vuole sapere di più, vuol sapere da dove viene questa buffa parola.
T-U-T-A. Riflettiamo.
Non ci viene in mente niente.
Cambiamo argomento che è meglio, tiriamo fuori il suo giocattolo preferito, forse se ne scorda…
Ora che abbiamo guadagnato tempo, ora che quel bambino ha finalmente deciso di “importunare qualcun altro” l’interrogativo rimane, e non ci resta che scoprire la storia che accompagna questa semplice parola, la storia di un grande personaggio, un artista fiorentino: Thayaht.
Ernesto Michaelles nacque a Firenze il 21 agosto 1893 da madre anglo-americana e padre svizzero-tedesco. Si interessò di tutto, fu pittore, scultore, disegnatore, orafo, inventore e ovviamente stilista. Il suo nome d’arte, “Thayaht”, ha un sapore esoterico, è infatti un palindromo, e fa riferimento al Tao come elemento di centralità dell’universo, mentre “y” richiama Yang e Yin, positivo e negativo, bianco e nero, uomo e donna.
Fu un futurista, pubblicò i suoi disegni su “Moda” (Rivista ufficiale d’abbigliamento della Federazione Nazionale Fascista) e questi piacquero talmente tanto a Marinetti che decise di presentarlo a Mussolini. In questa occasione Thayaht donò una scultura al Duce, un effige in ferro con la scritta “Dux”.
Nel 1931 organizzò insieme al pittore Antonio Marasco la “Mostra futurista di pittura, scultura, aeropittura ed arti decorative” presso la galleria d’arte di Firenze, e ad introdurla in catalogo fu lo stesso Marinetti.
Thayaht condusse una vita senz’altro intensa, e non abbandonò mai quella morbosa curiosità tipica non solo dei bambini, ma anche degli artisti. Lavorò per la Maison Vionnet conducendo attenti studi sulla divina proporzione, parlò ad Ezra Pound di scultura, introducendo una nuova formula per rappresentare i solidi in movimento, brevettò la thayahttite, una lega d’alluminio, disegnò una linea di cappelli chiamata “Per il sole, contro il sole” utilizzando la paglia come materiale autarchico e si interessò addirittura di astronomia e ufologia fondando il C.I.R.N.O.S. ( Centro Indipendente Raccolta Notizie Osservazioni Spaziali ). Ogni sua impresa meriterebbe pagine e pagine di riflessioni, ma noi vogliamo solo rispondere a quel bambino, e non abbiamo ancora capito da dove viene quella strana parola.
Era il 1919, e il giovane Ernesto, che sognava un capo d’abbigliamento fresco e moderno adatto al lavoro, comprò dei cotoni colorati e studiò un capo basico intero, da infilare velocemente con un solo gesto. Si abbottonava sul davanti tramite sei bottoni, aveva delle ampie tasche e una cintura da bloccare in vita. Non c’era nulla di più semplice ed economico, infatti per tagliarla si utilizzava l’intero rettangolo di stoffa e si evitavano gli sprechi (costava solo 30 centesimi).
Il quotidiano “La Nazione” pubblico in quello stesso anno il cartamodello gratuito della tuta di Thayaht permettendo a chiunque di realizzarne una in casa. Era la nascita del Made in Italy.
Thayaht non lasciava nulla al caso, e pensò bene al nome adatto per questo capo, intuendone la grande importanza:
Vestiva TUTTA la persona
Usava TUTTA la stoffa
Era TUTTA ad un pezzo
Il gioco è fatto, ecco da dove viene il nome. Ma perché “Tuta” e non ” Tutta”? Non è solo una questione di suono. La T mancante infatti, sta nella forma della tuta stessa.
Ed è proprio questo che diremo domani a quel bambino.
Viviana
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