Banksy è un artista inglese, reso celebre soprattutto dalle sue incursioni a suon di graffiti per le strade di Londra. “Street art” o “guerrilla art” si definiscono i suoi lavori. La prima definizione esperisce il luogho dove Banksy usualmente opera, la seconda esemplifica in maniera assai più chiara il senso della sua arte. Banksy infatti da sempre cerca di portare, attraverso le sue non comuni doti artistiche, dei messaggi di “ribellione”allo status quo, di critica all'odierna globalizzata società turbocapitalista. Banksy preferisce tenere la sua identità segreta, non esistono infatti foto o video che lo ritraggono a volto scoperto.
Questo perchè è per questo artista, il messaggio che deve contare, non chi lo veicola.
Dare preminenza al messaggio, al significato e non al significante, vuol dire anche scegliere la strada, non le gallerie (o almeno non solo, anche quelle in fin dei conti possono servire allo scopo), l'”illegalità” alle sovvenzioni statali e ai galà dell'alta società. Non che sia una specie d'eroe sia chiaro, non credo lo voglia essere, non è questo il punto. Il punto è, applicare la propria arte alla strada per inocularvi surrettiziamente messaggi subliminali. Messaggi di rivolta? Di dissenso?
Non credo.
Banksy intende porre dei dubbi sotto forma di stancil più o meno monocromo, dei punti di domanda da imprimere più o meno consciamente nelle menti distratte dei passanti. Non ha forse scelto pure lui d'esserlo, un punto di domanda? Niente slogan a caratteri cubitali quindi, ma opere complesse, pur nella loro ricercata semplicità grafica, che possano far riflettere, solo però chi ne abbia un reale interesse. Solo chi intenda fermarsi, interrompere il ritmo frenetico della vita metropolitana, per porsi in senso critico nei confronti di quella. Ecco così spuntare per le brulicanti strade londinesi (per lo più ma non solo) alberi dove non ce ne sono (non più almeno), uccelli che emettono suoni di clacson piuttosto che il loro usuale cinguettio, topi che gettano rifiuti tossici nei tombini o che raffigurano banchieri avidi e “bancarottisiti”, piuttosto che gli onnipresenti poliziotti rappresentati (ed irrisi) in mille modi diversi (pomicianti, con al guinzaglio palloncini rosa a forma di barboncino, che perquisiscono indifese bambine trecciute) oppure le innumerevoli rappresentazioni dell'infanzia costretta tra il cemento e la nuova povertà delle grandi metropoli. Il contenuto simbolico delle sue opere è espressione quindi di una visione critica della moderna società massificata e delle sue degenerazioni. Il sempre maggiore controllo poliziesco sulle vite dei cittadini, la scomparse e il disinteresse per la natura nelle grandi città, la profonda ingiustizia sociale di cui è foriero il moderno capitalismo finanziario, la violenza delle guerre del “primo mondo” nei confronti dei paesi dell'ultimo. In concreto, concetti non nuovi, in molti casi non particolarmente originali, ma che forse mai erano stati espressi in modo altrettanto efficace e antiretorico.
La produzione artistica di Banksy però non si riduce meramente alla sola street art, recentemente infatti ha saputo dimostrare di non essere solo uno dei tanti “street artist” capaci di avere rilevanza solo nel proprio territorio di provenienza ma viceversa, ha saputo “imporsi” a livello internazionale diversificando la propria attività creativa, ampliandola e massimalizzandola la dove aveva dimostrato d'avere pochi rivali (ovvero stancil et simila). In questo senso Bansky ha recente provato, con esiti apparentemente confortanti, a non autoghettizarsi cercando di prendersi anche lo stantio e paludato mondo “museale” esponendo ella natia Inghilterra e negli U.S.A. opere d'impostazione più tipicamente “tradizionale” (sculture, quadri ecc.), riuscendo così a farsi conoscere anche da un pubblico poco avvezzo al mondo della street art in senso stretto. In questo senso altra operazione che ha contribuito non poco a farlo conoscere a livello internazionale è stata la sua “incursione” artistica nei territori occupati della Cisgiordania sulle pareti del noto “muro di separazione” israeliano. Su di esso con tecnica mista (in parte i classici stancil in parte “trompe l'oeil” ovvero quella tecnica pittorica che dà l'illusione della profondità prospettica) ha dipinto squarci attraverso i quali si potesse vedere, o almeno averne l'illusione, dall'”altra parte”. Col suo usuale tocco lieve ha saputo, in modo non scontato e soprattutto non retorico, porre l'accento e richiamare l'attenzione su quella colossale ingiustizia di cemento armato.
Un ulteriore passo verso nuove forme espressive (nonché grande cassa di risonanza mediatica) da parte di questo artista dall'identità sconosciuta si ha con “Exit Through the Gift Shop” con il quale Bansky debutta nelle sale cinematografiche di mezzo mondo, riuscendo nella non facile impresa di rimanere fedele alla propria arte ed impostazione senza per questo creare un prodotto debole cinematograficamente o ancor peggio eccessivamente autoreferenziale. Rischio più che plausibile visto che “Exit Through the Gift Shop” (2010) è un mockumentary (ovvero un finto documentario) in forma di parabola sul mondo della “street art” con ampi rimandi alle opere e alla figura di Banksy stesso. A suggellare questa ottenuta notorietà internazionale la possibilità da parte degli autori de “I Simpson” di realizzare una sigla speciale del noto cartone animato (cosa forse mai successa precedentemente).
Pur rimanendo fedele all'usuale pattern della serie, Banksy è riuscito ad immetere il suo tocco e le tematiche a lui care portando, in un contesto tipicamente mainstream, il problema della delocalizzazione in paesi, come la Cina, caratterizzati da un forte sfruttamento del lavoro (comprendente nessuna tutela dei lavoratori, inquinamento atmosferico ecc.) con conseguente concorrenza sleale sui mercati internazionali. Ben lieti del suo sempre maggiore successo, non ci rimane che chiedersi quali saranno le sue nuove mosse, rimarcando nuovamente l'importanza del suo lavoro che oltre ad aver posto nuove prospettive in campo artistico ha indubbiamente reso ancor più vera e concreta (rinnovandola , donandole nuovo lustro) la vecchia asserzione “muri puliti popoli muti”.
Questo perchè è per questo artista, il messaggio che deve contare, non chi lo veicola.
Dare preminenza al messaggio, al significato e non al significante, vuol dire anche scegliere la strada, non le gallerie (o almeno non solo, anche quelle in fin dei conti possono servire allo scopo), l'”illegalità” alle sovvenzioni statali e ai galà dell'alta società. Non che sia una specie d'eroe sia chiaro, non credo lo voglia essere, non è questo il punto. Il punto è, applicare la propria arte alla strada per inocularvi surrettiziamente messaggi subliminali. Messaggi di rivolta? Di dissenso?
Non credo.
Banksy intende porre dei dubbi sotto forma di stancil più o meno monocromo, dei punti di domanda da imprimere più o meno consciamente nelle menti distratte dei passanti. Non ha forse scelto pure lui d'esserlo, un punto di domanda? Niente slogan a caratteri cubitali quindi, ma opere complesse, pur nella loro ricercata semplicità grafica, che possano far riflettere, solo però chi ne abbia un reale interesse. Solo chi intenda fermarsi, interrompere il ritmo frenetico della vita metropolitana, per porsi in senso critico nei confronti di quella. Ecco così spuntare per le brulicanti strade londinesi (per lo più ma non solo) alberi dove non ce ne sono (non più almeno), uccelli che emettono suoni di clacson piuttosto che il loro usuale cinguettio, topi che gettano rifiuti tossici nei tombini o che raffigurano banchieri avidi e “bancarottisiti”, piuttosto che gli onnipresenti poliziotti rappresentati (ed irrisi) in mille modi diversi (pomicianti, con al guinzaglio palloncini rosa a forma di barboncino, che perquisiscono indifese bambine trecciute) oppure le innumerevoli rappresentazioni dell'infanzia costretta tra il cemento e la nuova povertà delle grandi metropoli. Il contenuto simbolico delle sue opere è espressione quindi di una visione critica della moderna società massificata e delle sue degenerazioni. Il sempre maggiore controllo poliziesco sulle vite dei cittadini, la scomparse e il disinteresse per la natura nelle grandi città, la profonda ingiustizia sociale di cui è foriero il moderno capitalismo finanziario, la violenza delle guerre del “primo mondo” nei confronti dei paesi dell'ultimo. In concreto, concetti non nuovi, in molti casi non particolarmente originali, ma che forse mai erano stati espressi in modo altrettanto efficace e antiretorico.
La produzione artistica di Banksy però non si riduce meramente alla sola street art, recentemente infatti ha saputo dimostrare di non essere solo uno dei tanti “street artist” capaci di avere rilevanza solo nel proprio territorio di provenienza ma viceversa, ha saputo “imporsi” a livello internazionale diversificando la propria attività creativa, ampliandola e massimalizzandola la dove aveva dimostrato d'avere pochi rivali (ovvero stancil et simila). In questo senso Bansky ha recente provato, con esiti apparentemente confortanti, a non autoghettizarsi cercando di prendersi anche lo stantio e paludato mondo “museale” esponendo ella natia Inghilterra e negli U.S.A. opere d'impostazione più tipicamente “tradizionale” (sculture, quadri ecc.), riuscendo così a farsi conoscere anche da un pubblico poco avvezzo al mondo della street art in senso stretto. In questo senso altra operazione che ha contribuito non poco a farlo conoscere a livello internazionale è stata la sua “incursione” artistica nei territori occupati della Cisgiordania sulle pareti del noto “muro di separazione” israeliano. Su di esso con tecnica mista (in parte i classici stancil in parte “trompe l'oeil” ovvero quella tecnica pittorica che dà l'illusione della profondità prospettica) ha dipinto squarci attraverso i quali si potesse vedere, o almeno averne l'illusione, dall'”altra parte”. Col suo usuale tocco lieve ha saputo, in modo non scontato e soprattutto non retorico, porre l'accento e richiamare l'attenzione su quella colossale ingiustizia di cemento armato.
Un ulteriore passo verso nuove forme espressive (nonché grande cassa di risonanza mediatica) da parte di questo artista dall'identità sconosciuta si ha con “Exit Through the Gift Shop” con il quale Bansky debutta nelle sale cinematografiche di mezzo mondo, riuscendo nella non facile impresa di rimanere fedele alla propria arte ed impostazione senza per questo creare un prodotto debole cinematograficamente o ancor peggio eccessivamente autoreferenziale. Rischio più che plausibile visto che “Exit Through the Gift Shop” (2010) è un mockumentary (ovvero un finto documentario) in forma di parabola sul mondo della “street art” con ampi rimandi alle opere e alla figura di Banksy stesso. A suggellare questa ottenuta notorietà internazionale la possibilità da parte degli autori de “I Simpson” di realizzare una sigla speciale del noto cartone animato (cosa forse mai successa precedentemente).
Pur rimanendo fedele all'usuale pattern della serie, Banksy è riuscito ad immetere il suo tocco e le tematiche a lui care portando, in un contesto tipicamente mainstream, il problema della delocalizzazione in paesi, come la Cina, caratterizzati da un forte sfruttamento del lavoro (comprendente nessuna tutela dei lavoratori, inquinamento atmosferico ecc.) con conseguente concorrenza sleale sui mercati internazionali. Ben lieti del suo sempre maggiore successo, non ci rimane che chiedersi quali saranno le sue nuove mosse, rimarcando nuovamente l'importanza del suo lavoro che oltre ad aver posto nuove prospettive in campo artistico ha indubbiamente reso ancor più vera e concreta (rinnovandola , donandole nuovo lustro) la vecchia asserzione “muri puliti popoli muti”.
Edoardo
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