martedì 4 gennaio 2011

Il Lenin di Romagna

"Oggi sento di poter affermare, che voi siete l'interprete felice e fedele di un ordine nuovo, politico ed economico che nasce e si sviluppa col decadere del capitalismo e con la morte della socialdemocrazia. (...) Solo oggi, 1933 XII del regime, io vedo questa verità, ma la vedo in pieno e sinceramente. Forse il mio spirito legato profondamente al mio passato ha atteso, per manifestarsi, che la via da voi tracciata superasse i confini e l'idea divenisse universale. (...) Sento che nella Corporazione, sotto la vostra guida dello Stato Fascista totalitario, è soltanto possibile trovare in questa fase storica, quell'armonia necessaria al progresso civile e al benessere della società. La mia decisione è ponderata, ferma, cosciente".

Lettera firmata Nicola Bombacci e indirizzata a Sua Eccellenza Benito Mussolini.
Probabilmente alcuni di voi (e si spera non troppi) si chiederanno chi sia Nicola Bombacci. La domanda, ad ogni modo, è legittima, giustificata dal fatto che Bombacci, il Lenin della Romagna (così era conosciuto nell'ambiente socialista della prima metà del '900), ha rappresentato e rappresenta tutt'ora un personaggio particolarmente scomodo e imbarazzante, soprattutto nell'ottica della "storia" scritta dai vincitori, dagli antifascisti; narrazione storica tutta tesa al solo intento di ridicolizzare e demonizzare la Rivoluzione italiana, che sovente si dimentica di taluni personaggi che hanno percorso quel periodo.

Nicola Bombacci incarnò il nemico numero uno della Chiesa e della borghesia negli anni '20. Fu simbolo del socialismo che infiammava le piazze d' Italia, molto più dei dottrinari, e dei rappresentanti di quel milieu intellettuale facente capo a Gramsci - "Forse avrò letto qualche libretto in meno di loro, ma ho partecipato di più alla vita".

Bombacci inizia a stringere un rapporto con Mussolini nel 1910, quando il primo assume la segreteria della Camera di Lavoro a Cesena e la direzione del settimanale socialista "Il Cuneo", mentre il secondo diventa segretario del PSI a Forlì e direttore del periodico "Lotta di classe". In questo periodo i due svolsero in stretta collaborazione un notevole lavoro di propaganda e di riorganizzazione del partito radicalizzando la lotta politica e rifiutando qualsiasi forma di riformismo e parlamentarismo, diventando altresì ottimi amici.

Quando Mussolini, indicato come l'uomo emergente del socialismo, fu nominato nel 1912 direttore dell' "Avanti!", Bombacci, divenuto nello stesso periodo segretario della camera del lavoro e fiduciario unico della federazione del PSI di Modena, nonchè direttore del periodico "Il domani", si dimostrò entusiasta e sostenne la linea intransigente voluta dall'uomo di Predappio.

Le strade dei due compagni si divisero nel 1915, un anno dopo lo scoppio della Grande Guerra: Mussolini, convinto che una guerra vittoriosa avrebbe accelerato il cammino verso la rivoluzione sociale, dopo mesi di neutralismo, si schierò con gli interventisti ed ebbe come contraltare il neutralismo del "Kaiser di Modena", che con la sua violenza verbale contro la guerra e la sua propaganda socialista divenne ben presto il capo carismatico delle masse operaie.
Scelto da Mosca come uomo di fiducia in Italia (Lenin lo definì "il più autorevole e benemerito compagno italiano"), Bombacci, dopo aver manifestato apprezzamenti verso l'impresa fiumana (vista di buon occhio, d'altronde, anche a Mosca), fu il fondatore del Partito Comunista d'Italia seguendo le direttive dettate dal Comintern.

Quello che preme approfondire in questa sede, è però un altro punto: le motivazioni che spinsero questo fervente comunista, che durante la guerra civile del 19-20 - il cosidetto biennio rosso - fu il più sbeffeggiato dagli squadristi (celebri le canzonette "me ne frego di Bombacci e del sol dell'avvenire", e "con la barba di Bombacci ci faremo spazzolini per pulire gli scarpini di Benito Mussolini") a inviare qualche anno dopo quella lettera a Benito Mussolini, nonchè a richiedere la tessera del Partito Nazionale Fascista.



"Le realizzazioni del Regime Fascista sorpassano ogni postulato e programma del socialismo".

La focalizzazione della tematica sopra introdotta risulta alquanto semplice. Infatti, come poteva un rivoluzionario sincero e romantico come Bombacci, non approvare la costituzione dell'INPS e dell'INAIL, L'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, l'assistenza ospedaliera ai poveri, la liquidazione della mafia, ma soprattutto l'approvazione della Carta del Lavoro e il sistema corporativo?

Dobbiamo sottolineare il fatto che Bombacci non fu l'unico socialista a rivalutare il Fascismo: pur essendo uno dei tanti, il Lenin di Romagna, rappresenta l'esempio lampante di una convergenza trasversale delle migliori istanze sociali, che contribuirono a delinare uno dei migliori sistemi statali/sociali che siano mai stati concepiti. Esempio da sbattere in faccia a chi continua a parlarci di tutt'altro, basandosi su una storia manipolata, che narra esclusivamente di leggi repressive e liberticide, dimenticandosi volutamente che, anche la migliore delle Rivoluzioni "non si fa con i confetti", giusto per usare una citazione proprio di Bombacci.

Per onor del vero dobbiamo dire che Bombacci non ricevette mai la tessera del PNF (Mussolini decise di negargliela per rispetto dei tanti squadristi morti per la rivoluzione, dei tanti camerati uccisi da agguati socialisti), ma, nonostante ciò, il suo ruolo durante il ventennio non è trascurabile:
-nei primi anni dopo la marcia provò a creare un ponte tra la rivoluzione fascista e quella socialista in Russia, con il beneplacito dei bolscevichi di Lenin e l'avversione dei socialisti italiani, che però non andò a buon fine a causa dell'avvento di Stalin;
-negli anni '30 presentò a Mussolini un progetto di autarchia che precedette il disegno realizzato dal governo fascista, anche se non sappiamo con precisione quanto possa aver influito sul prodotto governativo, visto che il regime da tempo si proponeva di raggiungere l'autosufficienza energetica e industriale;
-nel 1936 divenne redattore della "Pravda" italiana, "La verità", giornale sul quale scrissero molti tra socialisti e comunisti diffondendo, sia tra le masse che all'estero, un'immagine ancor più positiva dell'Italia proletaria e fascista.


Bombacci aderì però compiutamente, quando tutto divenne tragico, quando ci si avviava verso la fine del capolavoro sociale che abbiamo descritto. Bombacci aderì compiutamente alla Repubblica Sociale Italiana: la sua fu un'adesione totale, donò anima e corpo a quella repubblica nella quale vedeva realizzati i suoi sogni di gioventù; perchè va detto, che se Bombacci aveva più volte manifestato apprezzamenti per la politica del ventennio, mai era riuscito a digerire la tolleranza verso clero, monarchia e grande industria.

"Duce, come già scrissi su "Verità" nel novembre scorso - avendo avuto una prima sensazione di ciò che massoneria, plutocrazia e monarchia stavano tramando contro di Voi - sono oggi più di ieri totalmente con Voi. Il lurido tradimento re-Badoglio che ha trascinato purtroppo nella rovina e nel disonore l'Italia, vi ha però liberato di tutti i compromessi pluto-monarchici del '22. Oggi la strada è libera e a mio giudizio si può percorrere sino al traguardo socialista".

E' in questo periodo che il contributo di Bombacci risulta fondamentale: basti pensare alla stesura dei 18 punti della Carta di Verona dovuta perlopiù ai due vecchi compagni socialisti, o all'impegno profuso per promulgare la legge della socializzazione, o ancora ai comizi davanti agli operai...

Quello che era diventato ormai il consigliere più fidato del Duce, dimostrava grande ottimismo durante la RSI: il 14/8/1944 pubblicò un articolo sul Corriere della Sera nel quale affermava "Sarà l'Italia e non la Russia a dare all'Europa e al mondo la nuova epoca, quella del trionfo del lavoro sul capitale".

Purtroppo la storia gli ha dato torto, il 29 aprile Bombacci sarà appeso a Piazzale Loreto insieme a Mussolini, Pavolini, Starace, ecc., con l'accusa di supertradimento.

Un mese prima aveva tenuto il suo più celebre comizio a Genova, il 15/3/1945:

"Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l'amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai negato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Se mi trovo nelle file della Repubblica sociale italiana è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi a rivendicare i diritti degli operai. Ero con Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all'avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell'inganno. Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini, che è socialista anche se per vent'anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito. Ma ora il Duce si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato italiano proletario..."



Per approfondire il tema consiglio a tutti i lettori il testo di Petacco "Il comunista in camicia nera", fonte principale nella stesura di questo articolo.
Renato

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