Spesso, quando sentiamo parlare della “liberazione”, ci viene sostanzialmente raccontato che il popolo italiano – o la migliore parte di esso, sicuramente la più numerosa – si unì per combattere il regime fascista. Regime fascista che si sarebbe macchiato delle più gravi nefandezze – nota bene: nel racconto dei paladini della “liberazione”, esse cambiano sempre in funzione di chi le pronuncia e del tipo di antifascismo che rappresenta, e spesso, anzi sempre, si contraddicono – , nefandezze che se passate al vaglio, dopo aver accuratamente rimosso le varie imprecisioni, i luoghi comuni e folcloristiche banalità, si ridurrebbero all’aver, in 20 anni, costruito il miglior stato sociale del XX sec., aver promosso la crescita demografica ed economica, aver assoggettato le banche agli interessi nazionali, ecc.
Ed in effetti non è paradossale, proprio perché queste possono davvero costituire delle “nefandezze” se le si guardano con gli occhi di chi davvero il regime l’ha voluto abbattere.
Intanto per cominciare c’è della grande ipocrisia nell’affermare che il popolo italiano si unì per combattere il regime fascista. In primis perché, è doveroso sottolinearlo, il popolo italiano rimase per gran parte fedele a Mussolini – basti pensare ai 600.000 volontari della RSI, o al SAF, il primo esercito femminile – a dispetto del fronte antifascista che rimase largamente minoritario. Secondariamente – ed è questo il punto più importante – perché a “liberare” il Paese, non furono i cosiddetti partigiani (all’anagrafe: “disertori imboscati sui monti”) bensì i poteri forti della finanza americana e internazionale che armarono l’Unione Sovietica, ed organizzarono, in compartecipazione con la mafia, lo sbarco in Italia.
Per chi si abbevera dalla storiografia ufficiale (questa sì, di regime) la domanda potrà sorgere spontanea: cosa c'entra la mafia con la liberazione?
In effetti, suddetta storiografia, scritta dai vincitori della guerra, ha provato a far cadere nel dimenticatoio il ruolo che ebbe il padrino mafioso Lucky Luciano (questo all’anagrafe: Salvatore Lucania), ribattezzato “Lucky”, proprio per la fortuna che trasse dalla caduta del fascismo. Roosevelt, nel 1943, si rivolse a lui per organizzare gli sbarchi in Italia, dando in cambio non solo la protezione e l’impunità per sé stesso, ma anche quella per tutti i suoi loschi affari.
Proprio così, mentre Mussolini e il prefetto di ferro Cesare Mori furono capaci di decimare e indebolire drasticamente la mafia, i “liberatori” chiesero aiuto al crimine organizzato per vincere la guerra e distruggere definitivamente lo spirito che anima i popoli fascisti; in cambio concessero la libertà al padrino mafioso, il quale dal canto suo, ormai trasferitosi a titolo definitivo in Sicilia, rinverdì i suoi traffici ed aprì le porte del Belpaese alla via della droga.
La liberazione, la resistenza tanto decantata dall'ignoranza antifascista, quindi, non è altro che una resa incondizionata firmata da vili e corrotti, a USA, finanza internazionale, crimine organizzato; resa che ci ha portato a 65 anni di sudditanza, di servilismo, e, non ultimo, ha riconsegnato intere zone nelle mani della criminalità organizzata.
E' per questo che oggi, 67 anni dopo, maledico quell'8 settembre 1943, maledico il giorno in cui l'Italia abbandonò il fronte dei popoli liberi per schierarsi con quelli guidati dal dio denaro, maledico il giorno che ci ha portati a diventare uno stato fantoccio soggetto ad interessi anti-italiani.
Ed in effetti non è paradossale, proprio perché queste possono davvero costituire delle “nefandezze” se le si guardano con gli occhi di chi davvero il regime l’ha voluto abbattere.
Intanto per cominciare c’è della grande ipocrisia nell’affermare che il popolo italiano si unì per combattere il regime fascista. In primis perché, è doveroso sottolinearlo, il popolo italiano rimase per gran parte fedele a Mussolini – basti pensare ai 600.000 volontari della RSI, o al SAF, il primo esercito femminile – a dispetto del fronte antifascista che rimase largamente minoritario. Secondariamente – ed è questo il punto più importante – perché a “liberare” il Paese, non furono i cosiddetti partigiani (all’anagrafe: “disertori imboscati sui monti”) bensì i poteri forti della finanza americana e internazionale che armarono l’Unione Sovietica, ed organizzarono, in compartecipazione con la mafia, lo sbarco in Italia.
Per chi si abbevera dalla storiografia ufficiale (questa sì, di regime) la domanda potrà sorgere spontanea: cosa c'entra la mafia con la liberazione?
In effetti, suddetta storiografia, scritta dai vincitori della guerra, ha provato a far cadere nel dimenticatoio il ruolo che ebbe il padrino mafioso Lucky Luciano (questo all’anagrafe: Salvatore Lucania), ribattezzato “Lucky”, proprio per la fortuna che trasse dalla caduta del fascismo. Roosevelt, nel 1943, si rivolse a lui per organizzare gli sbarchi in Italia, dando in cambio non solo la protezione e l’impunità per sé stesso, ma anche quella per tutti i suoi loschi affari.
Proprio così, mentre Mussolini e il prefetto di ferro Cesare Mori furono capaci di decimare e indebolire drasticamente la mafia, i “liberatori” chiesero aiuto al crimine organizzato per vincere la guerra e distruggere definitivamente lo spirito che anima i popoli fascisti; in cambio concessero la libertà al padrino mafioso, il quale dal canto suo, ormai trasferitosi a titolo definitivo in Sicilia, rinverdì i suoi traffici ed aprì le porte del Belpaese alla via della droga.
La liberazione, la resistenza tanto decantata dall'ignoranza antifascista, quindi, non è altro che una resa incondizionata firmata da vili e corrotti, a USA, finanza internazionale, crimine organizzato; resa che ci ha portato a 65 anni di sudditanza, di servilismo, e, non ultimo, ha riconsegnato intere zone nelle mani della criminalità organizzata.
E' per questo che oggi, 67 anni dopo, maledico quell'8 settembre 1943, maledico il giorno in cui l'Italia abbandonò il fronte dei popoli liberi per schierarsi con quelli guidati dal dio denaro, maledico il giorno che ci ha portati a diventare uno stato fantoccio soggetto ad interessi anti-italiani.
Renato
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