Per voi che vi lamentate di un paio di chilometri di coda nei pressi di Barberino o di Firenze Certosa, per voi che passate giorni a progettare le partenze intelligenti per poi scoprire che il vostro intelligente progetto è in realtà condiviso dalla maggior parte delle persone, per voi sempre pronti a dar colpa all’italica inefficienza sognando scandinavi paradisi della viabilità, per voi fobici del bollino nero, per voi, dicevo, c’è una magra consolazione: sappiate che da altre parti è pure peggio.
In Cina, ad esempio, dove il 13 Agosto scorso sull’Autostrada 110 Pechino – Mongolia, si è formata una coda di ben cento chilometri! Auto e camion imbottigliati in un ingorgo che ha dell’inimmaginabile, che procedeva alla mirabolante velocità di un chilometro al giorno. Sembra che, forse, a Settembre il traffico ritornerà nella norma, in concomitanza con la chiusura dei cantieri che, attivi sull’autostrada 110, sono stati tra i responsabili di questa enorme coda.
Questo evento, oltre a stimolare ai viaggiatori nostrali una grassa risata di scherno, ci fa sorgere una domanda. Ma allora la Cina è o non è quel mostro di efficienza e sviluppo economico che i numeri di incremento del PIL sembrerebbero palesare davanti agli occhi del mondo?
Nella consueta finestra centrale della prima pagina del Foglio di Lunedì 30 Agosto (che, per chi non lo sapesse, come ogni Lunedì ricostruisce tramite l’assemblaggio di vari spezzoni di quotidiani un evento, stimolando una riflessione) ci si poneva proprio questa domanda.
La riflessione si alimenta dalla constatazione di almeno due fattori. Sull’autostrada incriminata passa gran parte del trasporto illegale di carbone, materia di cui la Cina si serve per il 70% del proprio fabbisogno energetico, ed è sicuramente una della concause che hanno generato tale ingorgo. E questo è il fattore strettamente legato all’evento in questione; il secondo fattore che preme mettere in luce è il fatto che, a differenza di quanto si possa ritenere, la Cina è sì in una fase di grande sviluppo (ed ha trainato in buona parte l’economia mondiale) ma è uno sviluppo che “poggia su infrastrutture deficitarie” (basti pensare al fatto che gran parte del trasporto di materie prima passa per strade piccole e male attrezzate e che ancora la costruzione di molte arterie autostradali è in alto mare), e che è ancora legato ad una vecchia mentalità.
Inoltre se ci aggiungiamo che circa 900 milioni di persone rientrano nella categoria degli indigenti (chi sta meglio va avanti con circa 17 euro al mese) e vivono a stretto contatto con una gran quantità di nuovi (e vecchi) ricchi (con tutto il malessere sociale che ne deriva), la Cina, stretta nella morsa di queste enormi diseguaglianze sociali, risulta non essere quel paradiso di sviluppo di cui la televisione occidentale ci decanta le lodi.
L’estrema flessibilità del mercato del lavoro, i costi praticamente nulli che gli imprenditori spendono per gli operai, e tanti altri fattori del successo cinese, possono trasformarsi in armi a doppio taglio per il Dragone. Le centinaia di milioni di poveri della Cina, stanno prendendo coscienza della vera e propria assenza di uno Stato Sociale anche minimo, e si stanno susseguendo scioperi e rivendicazioni di vario tipo, spesso svincolate da organizzazioni sindacali (praticamente assenti), e per ciò stesso meno controllabili e meno riconducibili nei canali istituzionali. Nei casi in cui la Cina si conformi agli standard europei in materia di mercato del lavoro, diminuiranno fortemente le esportazioni, vera causa del successo cinese, e il motore dello sviluppo si incepperà.
Ma c’è un altro dato rilevante. La Cina è un Paese di molti giovani, ma anche di molti, moltissimi vecchi, che stanno aumentando progressivamente. La politica del figlio unico imposta tra gli anni ’70 e ’80 ha inoltre creato una coorte di (passatemi l’ossimoro) “nuovi vecchi” con un solo figlio che, spesso, non si vuole occupare dei genitori ormai anziani. Secondo uno studio sociologico cinese, circa il 67,5% dei giovani “temono l’onore eccessivo dell’assistenza ai genitori”.
Dunque che cosa mettono in evidenza questi dati, che riflessione stimolano quei cento chilometri di coda? Secondo il mio modesto parere, che anche se alla Cina sicuramente non mancano le risorse umane, o naturali, o energetiche, anche se il mercato del lavoro è conveniente, e non mancano i giovani imprenditori intraprendenti, manca però una cosa fondamentale, che all’Europa lenta, imbrigliata e vecchia, non mancherà mai: la cultura.
Cultura a tutti i livelli, dal lavoro alla politica, alla concezione dello Stato Sociale, e via enumerando. La civiltà è cultura, e la cultura civiltà. Puoi avere il più grande incremento annuo del Prodotto Interno Lordo, puoi avere delle ottime esportazioni, puoi avere tutti i numeri in regola ed una crescita incredibile in termini economici, ma ciò che resta, ciò che si sedimenta nel tempo e fa grande un Paese, rende stabile uno sviluppo e lo riconverte in benessere effettivo è la cultura.
Finché la Cina non riscoprirà le proprie origini, guardando ad un futuro che possa poggiare stabilmente su basi di civiltà, il dinamico Dragone assomiglierà sempre più ad un lento serpentone di automobili in coda.
Tommaso
lunedì 6 settembre 2010
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