giovedì 19 agosto 2010

LA GUERRA DELL'IDENTITA'

VILLENEUVE E LA MULTICULTURALITA' IMPOSSIBILE


Se prendete Google Maps e lo guardate dal satellite, quel quartiere nella zona Sud di Grenoble, in Francia, il quartiere Villeneuve, non sembra davvero un brutto posto. Con tutta evidenza simbolo di dirigismo progettuale, quei serpentoni di palazzi che lasciano intravedere spazi verdi e che non si accavallano l’un l’altro come quegli orrendi risultati dell’accanimento cementizio del nostro Paese, sembrano incarnare una buona idea di edilizia popolare. Case decenti per un proletariato pacificato.

Pacificato e multiculturale.

In undici ettari di terra di confine tra Grenoble ed Echirolles, concepire milioni di metri cubi di case per più di undicimila persone, quattromilatrecento alloggi, quattromilatrecento agenzie di socializzazione e mediazione culturale tra un gran numero di lingue, nazionalità, razze diverse. Quaranta per la precisione. Villeneuve, teatro di questo “meltin’ pot”, che pian piano, anno dopo anno, amalgama queste diversità come se fossero ingredienti gastronomici, riuscendo a renderne superfluo anche il conteggio. Il sogno di un omogeneizzato multiculturale che si fa realtà.

E c’è chi davvero in quel doppio progetto di multiculturalità edilizia ci ha creduto davvero, a partire da Hubert Dubedout, il sindaco socialista di Grenoble in quel lontano ’68, quando si gettavano le basi, soprattutto ideologiche, di quel piano. L’anno di nascita ufficiale di quel progetto non è casuale. Siamo nel ’68, l’anno della presunzione ideologica, della fantasia al potere, dell’utopie che diventano sostanza tangibile, nel caso di Grenoble, ferro e cemento. Nemmeno il luogo è casuale, Grenoble, sud-ovest della Francia, importante polo universitario, per molti aspetti d’avanguardia. Centro della cultura e della multiculturalità, figlio di un passato di gloria, vivo solo nella toponomastica stradale, padre di un progetto che appariva riuscito. Fino a quando un colpo di pistola non ha aperto gli occhi all’Europa intera.

Il 16 Luglio, Karim, ventisette anni, viene ucciso da un proiettile sparato da un poliziotto dopo una rapina ad un casinò, solo un attimo che getta però Grenoble nella guerra civile. E quegli undici ettari di Villeneuve, da teatro di integrazione si trasformano in teatro di distruzione. Un attimo soltanto per buttare all’aria quarant’anni di ipocrisie sulla buona riuscita di quel progetto. Ed allora, improvvisamente, nell’immaginario collettivo, Villeneuve assomiglia un po’ meno alla Città del Sole in chiave contemporanea, ed un po’ di più ad uno di quegl’obbrobri di accanimento edilizio italiano, stile Corviale o “Zona Espansione Nord”, che se non altro non hanno (o non sono nate con) la pretesa tracotante di amalgamare e realizzare il meticciato culturale. Almeno per adesso.

Ecco pronta la risposta law-and-order di Mr. Sarkozy in Bruni. Reprimere e restaurare lo status quo ante. Schiere di Brigate Anti Crimine a tutela del quieto vivere. Ma non si limita qua la risposta. Alla Francia viene in mente di togliere la cittadinanza a chi accetta la violenza e la perpetra contro i tutori dell’ordine. Ecco, è questa la degna reazione. Ancor più ipocrita di ogni carica della polizia. La cittadinanza. Quell’epiteto scritto sulla carta d’identità, quel contenitore di diritti dinamico, intercambiabile. Quel nulla burocratico che sostituisce la nazionalità, quel colpo di grazia istituzionale che umilia quel poco di spirituale, di trascendente che c’è dietro a quello che, adesso, è solo un mero aggettivo: “francese”.

Quand’è che la Francia s’accorgerà che l’identità s’è persa nelle fisime di diritti e burocrazie? S’è svilita nei meandri di progetti edilizi e schemi ideologici, di sogni abortiti di egualitarismo, di progetti omogeneizzanti morti sul nascere?

Quando il mondo si renderà conto che negando la connessione tra luogo e identità in nome di un universalismo egualitarista e camuffando e svilendo l’identità nazionale nei concetti di cittadinanza, si umilia la dignità di un popolo, si realizza la distopia del perenne conflitto?

Quando ci accorgeremo che facendo uscire, a forza, dalla porta principale, le specificità di razze e culture, ce le ritroviamo a far capolino dalla finestra, magari di un palazzo di un quartiere popolare di Grenoble?



Tommaso

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