Tre giorni fa Francia, Inghilterra e Stati Uniti hanno dato il via ad "Odissey Dawn", l'intervento armato contro Gheddafi: Un'azione di ampia portata, non certo un'azione di pattugliamento per imporre l'annunciata "No Fly Zone". Partiamo da una tua affermazione: "L'Italia è in guerra". Eppure il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dice che non è vero...
E' la dialettica democratica; ufficialmente è una “missione di pace” internazionale. Noi abbiamo fornito i nostri caccia e soprattutto le nostre basi per bombardare un popolo aggredendo uno Stato sovrano con la scusa che, improvvisamente, ci siamo accorti che il suo modello non ci garba perché non corrisponde a quelli occidentali.
Le ragioni reali sono invero altre, chiarissime anche se non confessate. Ma invadere una nazione e bombardarla oggi si chiama “cooperare per portare la pace”.
Del resto perché stupirsi? Per portare la pace bisogna prima scatenare la guerra...
L'attacco è arrivato giusto pochi giorni dopo che Gheddafi aveva minacciato di dirottare le forniture di greggio dall'Occidente verso Cina e India: quale ruolo credi che abbia la contrapposizione fra Washington e Pechino nell'attuale crisi mediterranea?
Ne ha di sicuro parecchio in Egitto, visto che Pechino qualche mese fa aveva superato Washington come primo partner del Cairo, aveva investito anche nel settore strategico e si era affacciata a Suez.
Ma in realtà credo che la pressione cinese abbia avuto un ruolo soprattutto indiretto.
Il risiko continuo delle armate gialle, la crescita di Brasile e India, la tenuta e ripresa della Russia, il nuovo corso della Turchia, il gioco spregiudicato a tutto campo di Israele, hanno portato a forti arretramenti strategici di Londra e Parigi sullo scacchiere internazionale. Washington cerca di compensare le loro perdite con altri sviluppi. Alla Francia è stato concesso un ruolo importante nel narcotraffico e narcoriciclaggio sudamericano, all'Inghilterra si offre il Mediterraneo a scapito delle nazioni europee e particolarmente dell'Italia. I paesi destabilizzati, Egitto, Tunisia e Libia, sono infatti – o almeno lo erano fino a ieri – i nostri principali spazi d'influenza. Ben Alì e Gheddafi divennero capi di Stato addirittura per opera di putsch italiani.
Che il primo obiettivo di questa “rivoluzione spontanea” che ha visto agire in prima fila le ambasciate americane e l'intelligence britannica, siamo noi e in particolar modo l'Eni e che il vero beneficiario sia la BP, è evidente.
Ne esiste però un secondo di motivo strategico; si cerca di attirare la Turchia di nuovo nell'ottica angloamericana che si lega al progettato gasdotto Nabucco (che, dall'Afghanistan in Europa, passando per la Turchia, eliminerebbe la Russia) quando, invece, con la firma alla presenza di Berlusconi a Ankara due anni orsono, il governo turco aveva dato precedenza al South Stream, che, sempre attraverso la Turchia il gas, in Europa lo porta dalla Russia.
Non è solo una differenza geografica: intorno a queste due diverse assi si giocano scontri economici, energetici, politici, diplomatici e militari di primissimo piano: è una questione-chiave.
Nel 2009 L'Italia ha firmato un "Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione" con Gheddafi, in cui al punto numero 4 si legge: "L'Italia non userà, né permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia". I casi sono due: o siamo dei bugiardi spudorati o contiamo meno del due di picche. O forse tutte e due le cose insieme?
Tutte e due, ma più la prima della seconda. Con compattezza e coraggio avremmo potuto fare altrimenti. C'è riuscita persino Malta.
Il ruolo dell'Italia nella gestione dei rapporti con Tripoli è stato quantomeno ambiguo, e il degenerare del conflitto non sembra prefigurare buone prospettive per i nostri interessi nazionali. Quali conseguenze per l'Italia?
In termini economici e d'investimenti, svariati miliardi di euro.
In termini d'influenza politica: un disastro.
In termine di costi: la benzina potrebbe quest'estate avvicinarsi ai due eruro al litro
In termine d'immigrazione: almeno, e dico almeno, un milione di profughi, forse molti di più.
Infine, nella prospettiva federalista e regionalista e nella parcellizzazione dei rapporti nel Mediterraneo, questo potrebbe costarci, di qui a qualche anno, addirittura l'unità nazionale.
Ma forse quest'ultimo cruccio è un po' allarmistico. Forse.
Il primo passo, in termini militari, lo ha fatto Parigi. I caccia francesi hanno colpito prima, e più forte, di quelli inglesi e americani. Come mai tutta questa intraprendenza?
Con la Francia, in quello spicchio di Mediterraneo, siamo sempre stati in guerra. Cento anni fa, nel 1911, intraprendemmo la conquista della Libia perché Parigi, che trent'anni prima era sbarcata in Tunisia anticipandoci, intendeva allargarsi anche lì; e la precedemmo noi.
I francesi hanno sempre appoggiato il Chad contro Tripoli. Negli anni ottanta sui cieli di Ustica un DC-9 dell'Itavia fu abbattutto, verosimilmente da caccia francesi, in un attacco aereo anti-libico sui nostri cieli.
Un quarto di secolo fa ci fu la guerra tra Chad e Libia. Noi combattemmo (di nascosto) con i libici. I francesi combatterono (di nascosto) con le milizie del Chad.
Per Parigi è questione d'interesse, di prestigio e di rivincita bombardare la Libia e soprattutto vedercela togliere dalla nostra zona d'influenza, sia pure a vantaggio degli inglesi
Sempre parlando di Francia, in un tuo articolo dici che l'economia italiana sta subendo gli attacchi del sistema economico francese. Quali sono i fronti di questa "guerra economica", e quali gli scenari futuri?
Non è propriamente un mio articolo; era una lista di conquiste economiche, soprattutto nella grande distribuzione, ma anche nella Parmalat o in imprese d'interesse nazionale, da parte dei capitali francesi. Non è una vera e propria guerra economica, anche se gli effetti sono i medesimi: è il frutto delle privatizzazioni selvagge. E di una certa subordinazione dei nostri politici. La sinistra PD ad esempio è soprattutto francodipendente, mentre la Lega risponde di più a Francoforte.
Il documento politico che hai pubblicato il 28 Febbraio scorso (Vademecum) traccia un'analsi globale della crisi arabo – mediterranea, e la riconduce entro una precisa strategia che potrebbe essere sintetizzabile nella tua affermazione: "Gli Stati Uniti non perseguono la stabilità, ma l'instabilità controllata". Sulla base di questa premessa, quale futuro aspetta il mediterraneo?
Ci sono molte varianti che rientrano in gioco. La prima è la Turchia. Accetterà di tornare ad abbracciare il Nabucco, ad allontanarsi cioè da Mosca per ottenere in cambio l'entrata nella UE, o preferirà, sostenendo il South Stream, insistere nella svolta “neo-ottomana” che le consente di acquisire influenza nel Vicino Oriente contenendo Riad e Teheran? La seconda è la Cina. Accetterà il neonato accordo di cooperazione militare tra forze armate britanniche ed egiziane e un freno alle sue mire verso Suez?
La terza è la Russia: preferirà lasciar fare o interverrà a difesa della cooperazione in Europa (che vede in buona posizione l'Italia, oltre ovviamente alla Germania, nelle relazioni energetiche, politiche, commerciali)?
La quarta è Israele: ha un grosso problema interno e nell'area circostante e spinge perché sia destabilizzata la Siria.
E' un bel ginepraio.
A bocce ferme, e dando per valide solo le mire dei manovratori lo scenario più probabile, purtroppo è quel che segue.
a) L'Egitto restituito, cinquantanove anni dopo, all'influenza inglese.
b) La Cirenaica “indipendente” sotto influenza politico-militare egiziana ma con monopolio della BP sui pozzi della Sirte.
c) A Tripoli, forse, la permanenza di uno “Stato-canaglia” cui attribuire le responsabilità di futuri attentati commessi dall'intelligence, anche in Europa.
d) L'apertura delle dighe (avevamo accordi di contenimento dell'immigrazione con Tripoli e Tunisi e sono saltati); con milioni e milioni d'immigrati nuovi in Europa.
e) La delocalizzazione delle piccole imprese nel Sud del Mediterraneo con ulteriore disoccupazione in casa nostra.
f) Infine sarà diffcile rimarginare le ferite dovute a quest'aggressione anglofrancese nella nostra zona d'influenza ma anche alla divergenza netta delle posizioni di Parigi e Berlino.
Non solo l'unità italiana, nella scia delle operazioni oggi in atto, a lungo termine sarà a rischio, lo sarà, vieppiù, la coesione europea con tutte le prospettive che ne derivano.
E' la dialettica democratica; ufficialmente è una “missione di pace” internazionale. Noi abbiamo fornito i nostri caccia e soprattutto le nostre basi per bombardare un popolo aggredendo uno Stato sovrano con la scusa che, improvvisamente, ci siamo accorti che il suo modello non ci garba perché non corrisponde a quelli occidentali.
Le ragioni reali sono invero altre, chiarissime anche se non confessate. Ma invadere una nazione e bombardarla oggi si chiama “cooperare per portare la pace”.
Del resto perché stupirsi? Per portare la pace bisogna prima scatenare la guerra...
L'attacco è arrivato giusto pochi giorni dopo che Gheddafi aveva minacciato di dirottare le forniture di greggio dall'Occidente verso Cina e India: quale ruolo credi che abbia la contrapposizione fra Washington e Pechino nell'attuale crisi mediterranea?
Ne ha di sicuro parecchio in Egitto, visto che Pechino qualche mese fa aveva superato Washington come primo partner del Cairo, aveva investito anche nel settore strategico e si era affacciata a Suez.
Ma in realtà credo che la pressione cinese abbia avuto un ruolo soprattutto indiretto.
Il risiko continuo delle armate gialle, la crescita di Brasile e India, la tenuta e ripresa della Russia, il nuovo corso della Turchia, il gioco spregiudicato a tutto campo di Israele, hanno portato a forti arretramenti strategici di Londra e Parigi sullo scacchiere internazionale. Washington cerca di compensare le loro perdite con altri sviluppi. Alla Francia è stato concesso un ruolo importante nel narcotraffico e narcoriciclaggio sudamericano, all'Inghilterra si offre il Mediterraneo a scapito delle nazioni europee e particolarmente dell'Italia. I paesi destabilizzati, Egitto, Tunisia e Libia, sono infatti – o almeno lo erano fino a ieri – i nostri principali spazi d'influenza. Ben Alì e Gheddafi divennero capi di Stato addirittura per opera di putsch italiani.
Che il primo obiettivo di questa “rivoluzione spontanea” che ha visto agire in prima fila le ambasciate americane e l'intelligence britannica, siamo noi e in particolar modo l'Eni e che il vero beneficiario sia la BP, è evidente.
Ne esiste però un secondo di motivo strategico; si cerca di attirare la Turchia di nuovo nell'ottica angloamericana che si lega al progettato gasdotto Nabucco (che, dall'Afghanistan in Europa, passando per la Turchia, eliminerebbe la Russia) quando, invece, con la firma alla presenza di Berlusconi a Ankara due anni orsono, il governo turco aveva dato precedenza al South Stream, che, sempre attraverso la Turchia il gas, in Europa lo porta dalla Russia.
Non è solo una differenza geografica: intorno a queste due diverse assi si giocano scontri economici, energetici, politici, diplomatici e militari di primissimo piano: è una questione-chiave.
Nel 2009 L'Italia ha firmato un "Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione" con Gheddafi, in cui al punto numero 4 si legge: "L'Italia non userà, né permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia". I casi sono due: o siamo dei bugiardi spudorati o contiamo meno del due di picche. O forse tutte e due le cose insieme?
Tutte e due, ma più la prima della seconda. Con compattezza e coraggio avremmo potuto fare altrimenti. C'è riuscita persino Malta.
Il ruolo dell'Italia nella gestione dei rapporti con Tripoli è stato quantomeno ambiguo, e il degenerare del conflitto non sembra prefigurare buone prospettive per i nostri interessi nazionali. Quali conseguenze per l'Italia?
In termini economici e d'investimenti, svariati miliardi di euro.
In termini d'influenza politica: un disastro.
In termine di costi: la benzina potrebbe quest'estate avvicinarsi ai due eruro al litro
In termine d'immigrazione: almeno, e dico almeno, un milione di profughi, forse molti di più.
Infine, nella prospettiva federalista e regionalista e nella parcellizzazione dei rapporti nel Mediterraneo, questo potrebbe costarci, di qui a qualche anno, addirittura l'unità nazionale.
Ma forse quest'ultimo cruccio è un po' allarmistico. Forse.
Il primo passo, in termini militari, lo ha fatto Parigi. I caccia francesi hanno colpito prima, e più forte, di quelli inglesi e americani. Come mai tutta questa intraprendenza?
Con la Francia, in quello spicchio di Mediterraneo, siamo sempre stati in guerra. Cento anni fa, nel 1911, intraprendemmo la conquista della Libia perché Parigi, che trent'anni prima era sbarcata in Tunisia anticipandoci, intendeva allargarsi anche lì; e la precedemmo noi.
I francesi hanno sempre appoggiato il Chad contro Tripoli. Negli anni ottanta sui cieli di Ustica un DC-9 dell'Itavia fu abbattutto, verosimilmente da caccia francesi, in un attacco aereo anti-libico sui nostri cieli.
Un quarto di secolo fa ci fu la guerra tra Chad e Libia. Noi combattemmo (di nascosto) con i libici. I francesi combatterono (di nascosto) con le milizie del Chad.
Per Parigi è questione d'interesse, di prestigio e di rivincita bombardare la Libia e soprattutto vedercela togliere dalla nostra zona d'influenza, sia pure a vantaggio degli inglesi
Sempre parlando di Francia, in un tuo articolo dici che l'economia italiana sta subendo gli attacchi del sistema economico francese. Quali sono i fronti di questa "guerra economica", e quali gli scenari futuri?
Non è propriamente un mio articolo; era una lista di conquiste economiche, soprattutto nella grande distribuzione, ma anche nella Parmalat o in imprese d'interesse nazionale, da parte dei capitali francesi. Non è una vera e propria guerra economica, anche se gli effetti sono i medesimi: è il frutto delle privatizzazioni selvagge. E di una certa subordinazione dei nostri politici. La sinistra PD ad esempio è soprattutto francodipendente, mentre la Lega risponde di più a Francoforte.
Il documento politico che hai pubblicato il 28 Febbraio scorso (Vademecum) traccia un'analsi globale della crisi arabo – mediterranea, e la riconduce entro una precisa strategia che potrebbe essere sintetizzabile nella tua affermazione: "Gli Stati Uniti non perseguono la stabilità, ma l'instabilità controllata". Sulla base di questa premessa, quale futuro aspetta il mediterraneo?
Ci sono molte varianti che rientrano in gioco. La prima è la Turchia. Accetterà di tornare ad abbracciare il Nabucco, ad allontanarsi cioè da Mosca per ottenere in cambio l'entrata nella UE, o preferirà, sostenendo il South Stream, insistere nella svolta “neo-ottomana” che le consente di acquisire influenza nel Vicino Oriente contenendo Riad e Teheran? La seconda è la Cina. Accetterà il neonato accordo di cooperazione militare tra forze armate britanniche ed egiziane e un freno alle sue mire verso Suez?
La terza è la Russia: preferirà lasciar fare o interverrà a difesa della cooperazione in Europa (che vede in buona posizione l'Italia, oltre ovviamente alla Germania, nelle relazioni energetiche, politiche, commerciali)?
La quarta è Israele: ha un grosso problema interno e nell'area circostante e spinge perché sia destabilizzata la Siria.
E' un bel ginepraio.
A bocce ferme, e dando per valide solo le mire dei manovratori lo scenario più probabile, purtroppo è quel che segue.
a) L'Egitto restituito, cinquantanove anni dopo, all'influenza inglese.
b) La Cirenaica “indipendente” sotto influenza politico-militare egiziana ma con monopolio della BP sui pozzi della Sirte.
c) A Tripoli, forse, la permanenza di uno “Stato-canaglia” cui attribuire le responsabilità di futuri attentati commessi dall'intelligence, anche in Europa.
d) L'apertura delle dighe (avevamo accordi di contenimento dell'immigrazione con Tripoli e Tunisi e sono saltati); con milioni e milioni d'immigrati nuovi in Europa.
e) La delocalizzazione delle piccole imprese nel Sud del Mediterraneo con ulteriore disoccupazione in casa nostra.
f) Infine sarà diffcile rimarginare le ferite dovute a quest'aggressione anglofrancese nella nostra zona d'influenza ma anche alla divergenza netta delle posizioni di Parigi e Berlino.
Non solo l'unità italiana, nella scia delle operazioni oggi in atto, a lungo termine sarà a rischio, lo sarà, vieppiù, la coesione europea con tutte le prospettive che ne derivano.
Clearco
0 commenti:
Posta un commento