lunedì 27 settembre 2010

Alessandro Pavolini

"Un'idea vive nella sua pienezza e si collauda nella sua profondità quando il morire battendosi per essa non è metaforico giuramento ma pratica quotidiana"


Parole secche, prive di retorica perchè già pregne di lucido pathos; non parole al vento, perchè dette da colui che rese usuale, quotidiano, normale, il gioiso martirio di stampo squadrista, perchè pronunciate da colui che avrebbe combattutto fino all'ultima cartuccia, che avrebbe creduto al Ridotto della Valtellina - le famose Termopili del Fascismo - e avrebbe infine comandato di fatto il suo stesso plotone d'esecuzione.
Questo, signori, è Pavolini.
E Pavolini nell'estate del '43 non ha dubbi.
Imbraccia il mitra subito dopo il tradimento: "Camerati si ricomincia, siamo gli stessi del '21"
Quest'uomo coltissimo, sensibile, moderato, stupisce tutti per la decisione mostrata, ricevuto da Mussolini il compito di organizzare il Partito Fascista Repubblicano, vuol ripartire da zero e per farlo azzera tutto.
Azzerare significa andare all'essenziale.
Ovvero rifiutare la tessera del Partito a chi non sia disposto a sacrificarsi quotidianamente; ragion per cui il nuovo segretario ottiene che sia concesso ai non iscritti di ricoprire incarichi statali e pubblici perchè l'iscrizione non deve essere una formalità burocratica ma la firma cosciente della propria condanna a morte.
Idealista sì, ma realista come nessun altro, egli difatti non si fa illusioni sull'esito della guerra nè sulla sorte che è riservata a chi non piegherà la testa.
Il suo primo atto, simbolico ma concreto, è quello di militarizzare la sede romana del Partito mettendo alla sua guardia i giovani volontari di Bir el Gobi, tra i quali sceglierà il suo attendente, Enzo De Benedictis.
La sua rifondazione è totale e non lascia adito ad equivoci. Vediamola in sintesi.
Il fascismo repubblicano è irredentista, nasce, cioè, sul mito risorgimentale ma persegue un nazionalismo universalista a forte impronta europeista.
Il fascismo repubblicano intende combattere tutte le internazionali del potere. Quelle economiche, finanziarie, religiose e politiche. Per farlo si deve partire dal centro, ovvero dalla formazione di un uomo che sia soggetto rivoluzionario. Lo stato pavoliniano intende così plasmare le giovani generazioni, renderle coscienti delle proprie potenzialità, educarle ad uno scopo, cancellando tutti i difetti ereditati dall'Italietta liberale e da una certa mentalità clericale e antitradizionale.
Per modellarsi serve un mito storico ed etico. Ed ecco che il perno intorno al quale operare viene offerto dall'epopea rivoluzionaria dello squadrismo.
Sulla base dello squadrismo si effettuerà la Seconda Rivoluzione e si affermerà la Terza Roma.
Per questo la "Rifondazione" che si compirà sul "Mito della Marcia" si instaurerà sul rinnovamento giovanile, sull'istituzione di comitati d'azione e di neo-triumvirati. Il pragmatismo antiborghese ne sarà il modus cogitandi et operandi, l'humus nel quale formare l'aristocrazia del pensiero/azione azione/pensiero che garantirà l'"Unità ideale e operante delle generazione passate, presenti e future."
Da queste premesse emerge come un fatto naturale la subordinazione del privato al pubblico con tanto di proprietà statale dei beni di produzione e di socializzazione intesa più che a garantire l'equilibrio del Ventennio tra capitale e lavoro ad imporre la prevalenza etica ed economica del secondo sul primo.
Nella tendenza ad accorciare le distanze tra proletariato e piccola borghesia, Pavolini non è mosso da fascinazioni proletarie bensì dalla consapevolezza che partecipazione e produzione sono le due condizioni necessarie per portare un popolo a divenire padrone di sè.
Il concetto organico di popolo assume allora centralità, i termini fondanti della rifondazione sono nazione e popolo, il concetto della loro sintesi è rivoluzione di popolo.
La cultura per Pavolini è azione oltre che pensiero. I richiami ideologici non saranno lettera morta maazione quotidiana. Per Pavolini non si deve prima vincere e poi mutare perchè la mutazione è nel combattimento. Egli crede nella rivoluzione continua.
Introduce l'autocritica e la democrazia diretta nell'apparato del partito.
Le cariche diventano elettive, le assemblee hanno un ruolo nuovo in un partito totalitario che è sì centralizzato ma federale e molto attento al radicamento territoriale.
Il partito deve impegnarsi in opere di beneficenza, in assistenza a chi soffre, ai bisognosi, ai senza tetto, deve sostituire lo stato, o meglio i servizi dello stato, laddove le comunicazioni belliche lo vedono latitare, ma non deve compiere azioni di polizia.
La solidarietà, la generosità e l'impersonalità nel servizio sono le parole d'ordine dell'azione pavoliniana. Il PFR giungerà così ad esprimere leggi giuste e rivoluzionarie quali l'abolizione delle società anonime e azionarie e a deligittimare giuridicamente il concetto di padrone-proprietario.
Nel fascismo repubblicano trovano piena espressione le idee social-rivoluzionarie di Bianchi, Sorel e Corridoni, ed anche la tradizione storico-ideologica di Garibaldi e Pisacane.
Un binomio si pone a garanzia dell'ortodossia spirituale nell'alveo della rivoluzione continua: è il binomio composto dagli antichi squadristi accorsi all'appello e dai giovanissimi volontari di Bir el Gobi, i nuovi squadristi.
Il partito in guerra deve essere partito armato, deve essere Milizia rivoluzionaria. Così dopo un lungo insistere nel giugno del '44 otterrà la costituzione delle Brigate Nere.
Alle quali non si aderisce in quanto militanti del PFR, ma da militanti del PFR. per aderirivi, di deve far domanda volontaria.


"Le Brigate Nere sono un esercito senza galloni essendo noi squadristi persuasi che un comandante è tale se comanda e gli si ubbidisce, e che altrimenti non c'è grado che tenga. L'unico gallone è l'Esempio..."

"Le Brigate Nere non sono il partito che va verso il popolo, sono una milizia di partito che è popolo, una milizia operaia e rivoluzionaria, di meccanici, di artigiani, di braccianti, di piccoli impiegati, in lotta mortale contro le plutocrazie alleate dei bolscevichi e contro i plutocrati sovvenzionatori di banditi..."
"Le Brigate Nere in che periodo sono apparse? Quando altri si squagliavano e noi ci adunammo. Altri dimettevano il distintivo e noi ci rimettemmo la camicia nera. Altri cercavano di farsi dimenticare e noi ci ricordammo. Ci ricordammo delle parole date, delle fedi promesse, dei compagni perduti. Noi ci ricorderemo sempre..."
"Le Brigate Nere sono una famiglia, questa famiglia ha un antenato: lo squadrismo, un blasone: il sacrificio di sangue, una genitrice: l'idea Fascista, una guida, un esempio, una dedizione assoluta e un affetto supremo: Mussolini!"
Gabriele Adinolfi
Quel domani che ci appartenne

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