giovedì 5 agosto 2010

Questi sono quelli che chiamate buoni?

Fin da quando siamo bambini ci insegnano chi sono i buoni e chi i cattivi:
all’inizio quando giochiamo a guardie e ladri ci dicono che le prime sono i buoni mentre i secondi sono i cattivi, poi, quando, cresciuti un po’, si parla di II Guerra Mondiale i buoni vengono identificati coi “liberatori” mentre l’Asse Germania-Italia-Giappone (in ordine di malvagità) rappresenta la parte dei cattivi.
E badate bene, non è possibile scampare a questo tipo di indottrinamento, perché o i genitori o i maestri di scuola o i catechisti non mancheranno ad adempiere al loro “dovere”; col tempo si rischia di diventare schiavi di questi dogmi.

Io, fortunamente, non sono stato colpito più di tanto da questa trappola, sarà perché da sempre ho una fascinazione per i ladri e non per le guardie, sarà perché mi piace andare controcorrente, fatto sta che queste verità imposte da altri non le ho mai accettate.
Ho sempre preferito costruirmi il mio pensiero.
Studiando la liberazione fatta dagli americani e organizzata, almeno per l’Italia, dalla mafia di Lucky Luciano, mi sono imbattuto in tantissime stragi di cui nessuno parla, quasi fossero stati colpiti morti di serie b; tra le tante, mi vengono in mente i 37 civili fucilati a Piano Stella in Agrigento, mi vengono in mente i 18.000 assassini effettuati dal CLN in tutta la nostra penisola, o i 25.000 civili bombardati durante l’attacco americano alla città di Dresda.





Ma, soprattutto, ho stampate nella mente due date, quella del 6 e del 9 agosto del 1945:
il 6 agosto l’Aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica “little boy” su Hiroshima, 3 giorni dopo fu Nagasaki a essere colpita dall’ordigno “fat man”.
In totale si parla di almeno 200.000 morti direttamente causati dallo scoppio delle bombe, numero che però aumenta notevolmente se consideriamo gli effetti letali a medio-lungo termine delle grandi quantità di radiazioni emesse dalle stesse.
Inoltre, su Hiroshima, si abbattè pioggia contenente fango e polvere alzati dall'esplosione, la cosidetta pioggia nera, che provocò, a causa della grande concentrazione di radioattività, un aumento delle aree con uomini colpiti da malattie e deformazioni.


La storiografia ufficiale prova a sminuire questo vero e proprio olocausto, ci dice che l’attacco nucleare servì a porre fine alla guerra, come da intenzioni americane.
La verità però è molto distante da questa versione: infatti il Giappone stava già trattando la resa, e la bomba fu utile per ben altri motivi, ovvero per tenere sottoscacco il mondo intero nel dopoguerra.


Ora io mi chiedo, oggi che ricorre il 65° anniversario di quella strage, siamo proprio sicuri di poter definire “buoni” questi fottuti assassini?


A Hiroshima e Nagasaki sono morti migliaia di innocenti,
noi non li dimentichiamo.

Renato

2 commenti:

  1. 1-In una guerra non ci sono ne buoni ne cattivi,solo idioti.
    2-io mi ricordo anche di tutte le vittime nei campi di concentramento, voi le avete dimenticate?
    3-se x sfortunato caso chi ha scritto quest'atricolo avesse avuto a quei tempi lontanissime origini ebraiche...di sicuro non avrebbe avuto bisogno degli insegnamenti "fasulli" dei professori dato che i cattivi li avrebbe riconosciuti da solo.

    Facile parlare ora da dietro ad un pc con la guerra a 65 anni di distanza alle spalle di quello che si doveva e non si doveva fare.
    APRITE GLI OCCHI!

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  2. Nessuno ha certo dato dei buoni ai nazisti o alle SS.
    A cosa servirebbe continuare a ricordare ciò che già si conosce e ciò che è stato già sfruttato dal punto di vista commerciale e politico? Dobbiamo ribadire dei campi di concentramento? Ormai tutti ne sono a conoscenza. Eppure chi parla oggi di Foibe? Chi di queste stragi? Cerchiamo di scavare affondo per far riemergere anche l'altra verità, quella un po' scomoda...

    Comunque, per quanto riguarda i farisei, spero tu non voglia farli passare per buoni, da vittime sono divenuti i carnefici di oggi.

    Non esistono buoni o cattivi, ma sarebbe giusto livellare questa situazione tramite la cultura.

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