mercoledì 11 agosto 2010

MIIKE TAKASHI: genio e perversione

Non è certamente una novità che il cinema orientale sia uno dei più vitali al mondo. Giappone, Corea del Sud, Hong Kong e oggi in parte anche Cina e alcuni paesi del sud-est asiatico possono vantare ottime tradizioni cinematografiche con al proprio interno, oltre ai maestri ormai ampiamente riconosciuti, vaste schiere di giovani talenti tanto geniali quanto sconosciuti.

Il paese guida è senz'altro il Giappone, che in fatto di cinema (e non solo) è da una cinquantina d'anni una delle realtà più interessanti e vitali dell'intero panorama mondiale. Basta citare i classici: Kurosawa Akira e i suoi capolavori sul Giappone feudale (“I Sette Samurai”, “Rashomon”, “Ran” ecc.), i re del cinema classico Mizoguchi Kenji e Ozu Yasuhiro (l'uno noto per il sempre impeccabile stile registico, l'altro per la sua attenzione ai ritratti e alla vita di tutti i giorni) e, più vicino a noi, l'acclamatissimo premio Oscar per l'animazione Miyazaki Hayao, padre oltre che dei capolavori della maturità anche di molte serie animate molto apprezzate in Italia, quali “Conan il ragazzo del futuro” e “Lupin III”.

Con un'industria che vanta simili primati, è quasi scontato che molti degli autori più interessanti degli ultimi anni giungano dal Paese del Sol Levante. Tra questi senz'altro uno dei più significativi è il geniale & controverso Miike Takashi*, regista ormai divenuto di culto anche in Europa grazie alla sua sterminata filmografia e al suo tocco sempre riconoscibile (tanto da farlo avvicinare dall'onnipresente Tarantino, che appare addirittura in uno dei suoi ultimi lavori), un misto di ultra-violenza, perversioni sessuali e genialità (tutto ben mischiato a forti dosi d'ironia).

Stacanovista della macchina da presa con all'attivo 80 film dal 1991, negli anni ha perfezionato la sua tecnica riuscendo a creare, soprattutto negli anni a cavallo tra vecchio e nuovo millennio, una sfolgorante serie di capolavori. Nonostante oggi appaia sempre più definitivamente approdato, a produzioni di taglio ben più mainstream (arrivando a girare appena l'anno passato l'acclamatissima trasposizione sul grande schermo di Yattaman e uno pseudo remake dello spaghetti western “Django”) le fatiche del passato rimangono a testimonianza di un talento ancora ben lontano dall'apparire oscurato.

Tra questi ultimi, sicuramente da ricordare, l'horror dei sentimenti “Audition”, il delirante “Dead or Alive” vero e proprio caposaldo dello “Yakuza Eiga” (genere cinematografico dedicato alla famigerata mafia nipponica), l'über-perverso “Visitor Q” (nel quale le perversioni sessuali fungono da ariete per attaccare frontalmente l'istituzionale famiglia borghese), gli esistenzialisti “Ley Lines” e “Rainy Dog” e il capolavoro finale, vero e proprio oggetto di culto, “Ichi the Killer”, che è in un certo senso la summa di molti temi e stili che percorrono da sempre la sua filmografia, e insieme uno dei suoi migliori risultati rispetto alla qualità della messa in scena (qui a livelli altissimi anche grazie a un cast di tutto rispetto, ed al budget per una volta, almeno apparentemente, meno ristretto).

Noto per non rifiutare mai un film**, ogni sua pellicola è, pur se quasi sempre girata in tempi e con budget ristrettissimi, contrassegnata dalle sue personali ossessioni sia tematiche che di messa in scena, l'alternanza di modi e stili, le riprese ondeggianti tra lo statico e il frenetico, i colori accesi della fotografia, le particolarissime location, l'attenzione alla musica, gli outcast (siano essi giovani yakuza, orfani, prostitute o stranieri), la spregiudicatezza nell'affrontare il sesso e la violenza, un certo spirito pan-asiatico, tutto questo non fa che evidenziare la particolarità e la novità del cinema “miikiano”.

Cinema del quale si sente sempre più pressantemente l'urgenza all'interno dell'asfittico panorama cinematografico nostrano, sempre più ripiegato in sterili tematiche piccolo-borghesi radical-chic e assolute mediocrità di matrice para-televisiva. Detto ciò non resta altro da fare, se non augurarvi una buona visione!

Edoardo


* In giapponese l'ordine dei nomi è inverso all'uso occidentale, prima il cognome e poi il nome come qui riportato.

** Secondo Miike Takashi ogni film è una palestra dove migliorarsi in quanto regista.

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