mercoledì 4 giugno 2014

Intervista a Gabriele Marconi

Ci sono libri che dopo averli letti speri possano avere sempre un seguito. Vorresti che la storia iniziata proseguisse perchè le emozioni trasmesse sono fortissime. E' questo il caso di "Le stelle danzanti", il romanzo di Gabriele Marconi uscito nel 2009, e che solo alla fine del 2013 ha visto continuare le avventure dei suoi protagonisti con il libro "Fino alla tua bellezza". Incuriositi da un protagonista indiscusso del mondo artistico non conforme come Marconi, romanziere ma anche cantautore, abbiamo deciso di intervistarlo e di scoprire come è nata in lui l'idea di appassionare un'intera galassia attraverso la vita di due arditi. 

 
Come e quando è nata l'idea di iniziare a raccontare l'epopea di Fiume, e perché hai preferito la forma del romanzo? 

Stavamo facendo la riunione di redazione per il nuovo numero di “Area”, quando Giano Accame propose di incentrare il Focus (era il nostro approfondimento mensile) per l’ottantesimo anniversario dell’Impresa fiumana. Riscoprendo quell’epopea mi sono entusiasmato per la decisiva presenza dei ragazzi che avevano fatto la guerra e di quelli ancor più giovani che, scappando di casa, raggiunsero d’Annunzio nella città irredenta. Ragazzi che portarono un’energia fantastica, sublimata dalla presenza di tanti artisti, che la trasformò in qualcosa di assolutamente inedito. Un’esplosione magmatica che ha definito il termine stesso di “giovinezza”. A quel punto, come mi succede sempre con le vicende che mi entusiasmano, m’è venuta voglia di vivere anch’io quell’impresa. E l’unico modo, ovviamente, era usare la fantasia. Per questo ho scritto “Le stelle danzanti”. 

Che cos'è che ti ha portato a proseguire la storia di Marco e Giulio, e perché hai deciso di ambientare proprio nella Guerra di Spagna le loro nuove avventure?  

Quando dai vita a un personaggio, non è che la sua vita finisce con l’ultima pagina del romanzo! Lui va avanti anche senza di te. E nel momento in cui torni a sentire la sua voce, è fatale ascoltarla fino a ritrovare le tracce della sua storia. Allora le segui e ritrovi lui e tutto il suo mondo. I protagonisti delle “Stelle danzanti” li ho ritrovati alla Guerra civile spagnola, forse perché quella fu l’epoca in cui molti italiani, giovani e meno giovani, decisero di mettersi nuovamente alla prova, come dice Giulio in un passo del romanzo, perché altrimenti le loro sarebbero state vane chiacchiere e non scelte di vita. Li ho ritrovati invecchiati di circa vent’anni, su entrambi i fronti, ma ancora intatti nel loro slancio e saldi nella loro amicizia… ancora lì, capaci di prendersi per il culo anche ai confini dell’inferno.

“Fino alla tua bellezza” ha una conclusione un po’ agrodolce, che però lascia molte curiosità e domande. Ci sarà un terzo capitolo sui legionari Paganoni e Jentile? 

Dipende da quanto forti saranno le voci e quanto sarò capace di sentirle. Ma ho come l’impressione di cominciare a percepire dei rumori di sottofondo. E vengono da Nord…

I tuoi racconti descrivono molto bene gli scenari spesso molto duri del primo dopoguerra e lo spirito che animò moltissimi giovani a seguire prima D'Annunzio e poi Mussolini. Come fare a far conoscere ai ragazzi più giovani il perché di certe scelte che spesso per pigrizia odierna sembrano impensabili? 

 Io cerco di aprire delle finestre sulle vicende che racconto. Poi sta a ognuno scavalcare il davanzale e andare a curiosare. Bisogna documentarsi, studiare, senza paura di scoprire anche cose che potrebbero mettere in crisi le nostre convinzioni. La curiosità è vitale. 

Nel tuo primo romanzo "Io non scordo" parli di un argomento con molti lati oscuri, la strage di Bologna. Qual è il tuo ricordo su quel periodo? Come vivesti il clima da caccia alle streghe verso tutto il mondo fascista?  

L’ho raccontato sia con “Noi” (il libro allegato all’omonimo cd antologico con tutte le mie canzoni), sia con “Io non scordo”, soprattutto nella postfazione narrata dell’edizione nuova (la terza), dove parlo proprio di quel periodo. Come hai detto tu, fu un clima da vera e propria caccia alle streghe, portata avanti con fanatica e subdola determinazione dalle autorità, spalleggiate dagli organi d’informazione e dalle solite truppe cammellate del sistema. È un ricordo talmente brutto che la rabbia e il dolore accumulati allora hanno contribuito non poco agli sforzi che abbiamo fatto, negli anni successivi e fino a tutt’oggi, perché la verità venisse a galla: una verità totalmente ribaltata rispetto a quella giudiziaria. Ed è quel che probabilmente fu anche per altre stragi, come illustra benissimo “Quella strage fascista”, il romanzo di Gabriele Adinolfi. 

Con la pubblicazione dei tuoi romanzi il tuo pubblico, già affezionatissimo, ha avuto modo di conoscerti anche come scrittore. Quando e perché hai realizzato la necessità di ampliare il campo della tua opera artistica?  

Boh! Il fatto è che mi piace scrivere. Amo scrivere. Le canzoni raccontano emozioni, storie in forma poetica. Ma vivere le avventure che vivono i personaggi dei miei romanzi è qualcosa di molto diverso: è un viaggio fantastico al quale non so rinunciare. 

Esiste un collegamento tra musica e romanzo? E nello specifico, tra la tua musica e la tua prosa? 

Le canzoni accompagnano i vari momenti della nostra vita, ed è fatale che entrino nelle storie che scrivo, visto che i personaggi non sono burattini senza vita: hanno un loro passato, un presente e lo vivono ad esempio leggendo libri o ascoltando canzoni, appunto. Poi, nel caso di “Io non scordo”, certi brani che scandiscono i capitoli erano rappresentativi di situazioni specifiche e le evocavano con forza, per questo li ho inseriti.

Hai mai pensato di trasferire in un album di canzoni le storie che racconti nei tuoi romanzi? 

Sì ci ho pensato. Chissà che non lo faccia prima o poi…

Tu sei anche autore di bellissime canzoni, alcune sull’Europa… una tra tutte "Ricordi". Qual'è la tua sensazione vedendo l'Europa di oggi? Il fatto che molti movimenti "anti-sistema"come Jobbik in Ungheria, stanno iniziando a tornare protagonisti sulla scena politica ti fa essere fiducioso?

Il mio stato d’animo attuale è quanto di più lontano dall’essere fiducioso. Registro però questa tendenza e guardo con curiosità.

Qual è il tuo pensiero sulla vicenda dei due marò? Ci vorrebbe un colpo di mano nello stile uscocco per riportarli a casa?

 Ci vorrebbe sì! Fossimo una nazione con le palle ce li saremmo già riportati a casa.

Nei tuoi libri i protagonisti sono stretti da un forte legame di amicizia e cameratismo, valori oggi dispersi in contatti sempre più virtuali e anonimi. Come vivi il cambiamento apportato da internet nei rapporti umani? 

Non credo che la virtualità di internet sia la causa del degrado, quanto piuttosto un’opportunità potentissima che il degrado attuale ha trasformato fatalmente in un luogo troppo spesso alternativo alla realtà. Io uso molto sia internet che, ad esempio, facebook, ma non sostituiscono il sapore della vita “vera”. Nulla può sostituirlo, neanche la letteratura: preferisco mille volte baciare una donna che raccontarlo in un romanzo.

Fino alla tua bellezza" è uscito solo da pochi mesi, eppure già ha creato intorno a sé molto interesse. Come sta procedendo la promozione del libro?

  I riconoscimenti sono eccezionali.Continuo a girare come una trottola, e devo dire che mi piace. Però, a parte l’impegno mio e di chi m’invita in giro per l’Italia, del romanzo sono uscite poche (bellissime) recensioni e solo su quotidiani come “Il Giornale”, “Libero” o “Il Foglio”. Per il resto, silenzio assoluto. Ma non mi aspettavo qualcosa di diverso da parte della sinistra, che per decenni ha massacrato la cultura e l’informazione italiana con un’egemonia spietata (chi la mette in discussione mi fa ridere). Quello che invece mi fa rabbia è la miseria culturale lasciata da quasi vent’anni di partecipazione della “destra” al governo. L’abbiamo detto e scritto anche su “Area”, finché abbiamo avuto la forza di tenerla in piedi: questi vent’anni non hanno lasciato traccia. E non è solo un peccato: è un delitto. 


Simone












giovedì 17 aprile 2014

ORDINE PUBBLICO O ORDINE POLITICO?

Le basi sulle quali ministeri e questure organizzano i servizi di ordine pubblico sono davvero esclusivamente inerenti al pericolo per l'incolumità pubblica o talvolta possono essere indirizzati anche da altri fattori? Un qualsiasi cittadino medio non solito a partecipare a manifestazioni politiche sceglierebbe sicuramente la prima opzione. 
Ai concerti, cosi come alle partite di calcio (tranne in alcuni casi dove anche qui la politica diventa preminente) , i presupposti per l'organizzazione di un servizio di pubblica sicurezza sono meramente tecnici, si prende ad esame una zona, un quartiere o un'intera città, si fa una stima di quanti saranno gli intervenuti, si da un codice di pericolosità all'evento e da queste considerazioni parte l'organizzazione da parte delle questure e degli altri soggetti coinvolti nel dispiegamento di forze al fine di evitare che nessuno si faccia male e che l'evento fili via liscio senza danni a cose o persone. Ma purtroppo non sempre e' così, succede che a volte vi siano anche altri fattori a determinare il tipo di spiegamento di forze in servizio ad un evento, specie quando questo evento e' una manifestazione politica. Manifestare pacificamente dovrebbe essere un diritto garantito in uno stato che pretenderebbe di dichiararsi democratico ma non lo e'.
Molto spesso l'ordine pubblico viene usato come specchietto per le allodole per indirizzare o vietare manifestazioni politiche di partiti o movimenti che si pongono in maniera critica verso il sistema vigente. E questo e' il caso sicuramente di CasaPound che, ogni qualvolta su tutto il territorio nazionale decide di organizzare una manifestazione si trova sempre di fronte a mille problematiche che gli organi preposti all'ordine pubblico pongono in essere. Eppure CasaPound non e' certo un movimento violento, mai nessuna manifestazione di CasaPound e' sfociata in atti di violenza o devastazione gratuita, solo qualche raro caso di difesa da attacchi subiti dai centri sociali antifascisti. Ma allora perchè ogni manifestazione pubblica di CasaPound italia da Aosta a Palermo viene sempre blindata dalle varie digos (ovvero la polizia politica) in maniera possente anche in totale assenza di gruppi antifascisti? Perchè molto spesso cercano di spostare questi eventi fuori città lontano dagli occhi della maggioranza dei cittadini? Perchè non e' la violenza che preoccupa lo stato, quella sarebbe facilmente arginabile con l'impiego di semplici forze di polizia, ciò che preoccupa e' piuttosto la forza delle Idee, e un movimento che si presenta nelle piazze italiane con un carico di gioventù e di vincenti Idee Rivoluzionarie fa paura al sistema molto di più che qualche scalmanato che tira sassi a casaccio. E allora come eliminare democraticamente chi potrebbe far aprire gli occhi al popolo su di un sistema vecchio,corrotto,servile,flaccido e mafioso come quello politico italiano? Semplice, usando la scusa dell'ordine pubblico per boicottare ogni iniziativa di dissenso e zittire chi ha parole che tagliano piu' delle lame. In che maniera nel pratico? Prendiamo ad esempio alcuni fatti recentemente accaduti a iniziative svolte da CasaPound, come ad esempio l'ultimo gazebo di propaganda elettorale durante le passate elezioni a Firenze, in occasione del quale, adducendo fantasiosi motivi di ordine pubblico furono chiuse le vie d'accesso alla piazza in cui si doveva tenere l'iniziativa bloccando di fatto l'afflusso di persone possibilmente interessate, oppure come accaduto piu' volte per le foibe, quando le manifestazioni sono state costrette ad un contesto spettrale, chiudendo interi quartieri con anche il divieto di sosta per le auto nei giorni antecedenti, cosa che ovviamente crea disturbo al cittadino e quindi antipatia verso i promotori. In altre occasioni le manifestazioni sono state spostate fuori città, riducendone al minimo la visibilità, o anche scortate inspiegabilmente in maniera massiccia, come successo al corteo di Prato poco tempo fa, cosi da far sembrare che gli scortati fossero appartenenti ad un movimento violento e quindi da tenere sotto stretto controllo inducendo timore nel seguirlo al cittadino. Poi invece, si crea un clima di distesa apertura quando a scendere in piazza sono quei partiti che avendo rappresentanza istituzionale decidono se il questurino di turno presterà servizio l'anno dopo in un paesello di un'isola sperduta o nella capitale. 

Questo scritto non vuole assolutamente essere l'ennesimo articolo di complottismo spicciolo, ma una semplice spiegazione di come si articolano certe dinamiche che influiscono poi pesantemente sull'opinione pubblica. La prossima volta che vedrete una situazione del genere, vi auguriamo di avervi fornito qualche strumento in più per meglio giudicare quanto accade intorno a voi. 

Buona democrazia a tutti.

La Redazione. 

nella foto la grottesca situazione del pacifico corteo di CasaPound Prato.



domenica 8 dicembre 2013

A proposito di Mafia...

Dal carcere di Milano, nel quale è detenuto il boss di Corleone Totò Riina, si innalzano a gran voce le sue minacce: “Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire.” E ancora: “Quelli lì devono morire tutti, fosse l’ultima cosa che faccio.” Oltre a Di Matteo nel mirino delle minacce anche l’aggiunto Teresi ed i pm Del Bene e Tartaglia. Dopo “l’ordine” del boss, il Comitato per l’Ordine e per la Sicurezza, presieduto dal Prefetto, ha valutato la possibilità di trasferire Di Matteo e la sua famiglia in un’altra località. Riina avrebbe parlato anche di “uno che prima era a Caltanissetta e adesso è a Palermo, uno che si da un gran da fare.” Riferendosi probabilmente all’attuale procuratore di Palermo Scarpinato. Prendendo atto di queste minacce alcuni giorni fa, a Palermo hanno preso parte oltre 1000 persone al corteo in sostegno di Nino Di Matteo. Partendo dal Teatro Massimo, raggiungendo poi il Palazzo delle aquile (sede del Comune) dove si è svolto un flashmob per ricordare le stragi di Mafia del 1992/1993. In testa al corteo, si scorgeva uno striscione “SI MUORE QUANDO SI E’ LASCIATI SOLI” Le preoccupazioni balenate tra i luoghi della magistratura, è proprio quella paura che si possa tornare a respirare la stessa identica aria di tensione, di terrore che è stata la culla del ’92; quella delle stragi di Capaci e via D’Amelio.  

Nato a Palermo nel 1961, Nino Di Matteo è in magistratura dal 1991. Sostituto procuratore della Repubblica presso la DDA di Caltanissetta dal ’92 al ’99 e pubblico ministero della DDA di Palermo dal ’99, ha indagato sulle stragi dei magistrati Rocco Chinnici,  Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e delle loro scorte, e sull’omicidio del giudice Antonino Saetta. Attualmente è impegnato nei processi per la cosiddetta “Trattativa” tra Stato e Mafia a carico del prefetto Mario Mori, ex direttore del Servizio Segreto Civile.




Contrastare l’antistato oggi più che mai dovrebbe essere una battaglia quotidiana, da viversi proprio come una priorità. Lo Stato odierno è complice di quella parte marcia di Stato che miete vittime ogni singolo giorno, con il suo silenzio, con la sua omertà. Durante il Ventennio era una delle priorità dello Stato fascista. Dopo il vuoto. Il silenzio. Il sangue dei morti ammazzati. Il silenzio del pizzo. Il menefreghismo da parte dei politici che vanno di pari passo con queste “brave” persone. Il declino della civiltà dello Stato iniziò nel 1943 con l’operazione Husky, lo sbarco degli “alleati” in Sicilia. Per molti magistrati, è stata quella la data di nascita di una realtà ancora ben radicata negli ambienti meridionali e non. C’è la MAFIA BIANCA, quella dello Stato, quella delle caste, quella della gestione della cosa pubblica. Poi c’è la MAFIA NERA, quella della criminalità organizzata, delle stragi, dei morti ammazzati, che continua a ciel sereno nei suoi intenti con il traffico di droga e dei clandestini, con il giro del racket e dell’usura, con lo sfruttamento della prostituzione, con il gioco d’azzardo. Entrambe, come dimostrato da molte indagini della magistratura, tentano di mettere mano sulla gestione degli appalti pubblici finanziati da fondi nazionali ed europei , tentando di costruire rapporti con le politiche locali, con gli imprenditori.

Per sconfiggere la Mafia bisogna prevenirla, combattere questo suo sistema di potere sporco. Bisogna diffondere la cultura, quella vera e genuina in grado di estirpare quella sub-cultura malata che si insedia nel politico e nelle menti di oggi. Uno Stato pulito e presente deve garantire a tutti cultura, istruzione e lavoro. L’uomo nasce libero e deve combattere i soprusi ed i compromessi che gli vengono messi davanti per realizzarsi nella vita. La vita è una scelta, e bisogna scegliere il meglio sempre.



Martina.
(Grazie a Peppe Di Salvo.)

venerdì 6 dicembre 2013

Pietro Toselli: l'Eroe dimenticato

In uno strano Pese come l'Italia, che da qualche anno in particolar modo cerca di nascondere la propria storia e le proprie radici, negando i suoi stessi eroi, vediamo sempre più spesso scuole o impianti sportivi intitolati a personaggi che niente hanno a che fare con la nostra Penisola (come Martin Luther King o Nelson Mandela) e figure italiane leggendarie forse volutamente dimenticate. E l'esempio che mi torna alla mente è quello di Pietro Toselli, ormai ridotto a mero nome toponomastico nelle strade di qualche città. Ma chi era Pietro Toselli? Nato a Peveragno nel 1856, si arruola nell'esercito fino a raggiungere il grado di maggiore. Nel 1894 durante la campagna italiana in Eritrea ha l'incarico di combattere le truppe di Bathà Agos, capo abissino che aveva tentato un'indipendenza della propria provincia con un'improvvisa ribellione. Dopo il rapido successo, nel 1895 viene inviato alla guida del III battaglione Indigeni a difesa sull'Amba Alagi, dopo che il Negus Menelik II° aveva dislocato oltre 100.000 uomini nei pressi del lago Ascianghi. Dopo l'inutile attesa di rinforzi, prevedendo l'attacco abissino, dispone le sue truppe a difesa dell'Amba Alagi. L'esercito nemico, forte di circa 30.000 uomini assalta le poche migliaia di soldati italiani, che oppongono una resistenza disumana., durata dall'alba fin quasi al tramonto. Dopo aver compreso che nessun rinforzo sarebbe arrivato ordina la ritirata, e per ultimo abbandona l'altipiano. Nonostante le insistenze degli ufficiali affinchè si mettesse in salvo, decise di affrontare il nemico dicendo "ora mi volto e lascio che facciano!" sedutosi su una roccia guardò l'avvicinarsi dell'esercito africano, che sorpreso da cotanto coraggio smise di sparare. Dopo qualche istante, ripresi gli spari, cadde in terra crivellato di colpi. Insignito della medaglia d'oro al valor militare, a Toselli vennero dedicate anche la canzone dell'Amba Alagi e quella delle donne ascari. Ma quelli eran altri tempi, di certo non c'era ancora chi pensava di salvare le casse comunali risparmiando su una corona di fiori da dedicare ad un Eroe.



La canzone dell'Amba Alagi:

Fosca Amba Alagi, 
quante quante stelle sulla tua vetta quella notte fiera
e in fondo a valle quante mai fiammelle
dei fuochi dell'immensa orda nera. 
L'ultima notte era per Toselli 
che aspettava il soccorso dei fratelli.

O Amba Alagi,
 tu l'hai veduto 
tutto il suo sangue 
quand'è caduto. 

Or da quel sangue 
che ferve ancor 
sorge la fiamma 
del tricolor.

Sotto la tenda stan gli eroi raccolti. 
Pietro Toselli scrive al generale: 
“Vedo i lor fuochi sono molti molti 
doman sarà per noi gloria immortale”. 
Invano tu aspettasti i tuoi fratelli, 
solo la gloria venne a te Toselli.

Maggior Toselli, cavaliere fiero, 
cadesti allor pugnando come un dio. 
eri il leon del battaglione nero
 e degli imbelli tu scontasti il fio. 
Son quarant'anni che attendi i tuoi fratelli: 
eccoci al fine, siamo qui, Toselli.


O Amba Alagi,
tu l'hai veduto 
Pietro Toselli 
quand'è caduto.

 Ora lo vedi 
sorgere ancor 
sulla grand'Ara
del tricolor.
Simone Selvi

lunedì 2 dicembre 2013

Bambini in curva: il fallimento del politicamente corretto

AVREMMO VOLUTO SCRIVERE ANCHE NOI UN ARTICOLO SU QUESTO TEMA, MA VISTO CHE SAREBBE STATO UN DOPPIONE ABBIAMO PREFERITO CONDIVIDERE QUESTO CHE ABBIAMO TROVATO SUL SITO DI INFORMAZIONE "IL PRIMATO NAZIONALE" DATO CHE RISPECCHIA A PIENO IL NOSTRO PENSIERO.

"La prossima volta proveranno con i neonati: solo fra bambini in fasce, del tutto ignari di quel che accade intorno a loro, si può forse ritrovare quella presunta innocenza che i marziani a capo del nostro calcio e dei nostri media credevano di riscontrare nella massa dei 12.000 ragazzini che hanno occupato le curve (squalificate) dello Juventus Stadium. Via gli ultras e i loro cori beceri, dentro i bambini.
Capita però che l’unica occasione in cui la innocente curva di bambini dia notizia di sé con un’iniziativa minimamente coordinata sia il fatto di gridare “merda” a ogni rinvio del portiere avversario. De Coubertin è restato a casa anche stasera.
La Gazzetta dello Sport commenta disperata: «Forse per imitare i grandi (e in questo caso era meglio restare bambini…) sono partiti anche cori offensivi: a ogni rilancio del portiere dell’Udinese i bambini si sono lanciati in cori e urla da censurare: “mer….”. Sarà stato l’effetto curva a renderli così “passionali”? O sono forse gli adulti- accompagnatori dei piccoli che si sono lasciati prendere la mano invitando a cori usuali nelle Curve ma in ogni caso da censurare?».
Effettivamente chi poteva immaginare che dei tredicenni potessero avere una passione per le parolacce, per le canzonature e i cori irridenti, soprattutto a contenuto scatologico? In realtà tutti. Chiunque viva nel mondo normale. Tutti tranne ovviamente gli abitanti della cittadella calcistico-mediatico-politica. I marziani, appunto.
A questo punto, però, ci aspettiamo un bel baby-daspo di massa. Perché insomma, se non è discriminazione paragonare qualcuno alla meno nobile delle materie… E poi, a ben vedere, il portiere in questione è Zeljko Brkic, di Novi Sad. Uno straniero, quindi. Dato che ancora nessuno ci ha spiegato dove inizia e dove finisce il razzismo, si potrebbe ipotizzare che anche quello sia un coro di discriminazione. Chi ci assicura che un portiere italiano sarebbe stato canzonato alla stessa maniera? Magari i piccoli ultras intendevano dire “merda di un serbo”. Contro il razzismo bisogna vigilare incessantemente e il dubbio è più che sufficiente.
Che baby-daspo sia, allora. E da domenica, tutti in fila in questura per mettere la firma durante le partite. Accompagnati dai genitori."

Adriano Scianca